Un articolo di Politico, riferimento per l’establishment comunitario, ha rilanciato negli ultimi giorni il nome di Mario Draghi come possibile successore di Charles Michel per la carica di presidente del Consiglio europeo. L’ex premier e già governatore di Banca Italia prima e Banca Centrale Europea fino al 2019 è considerato un uomo di alta statura, a fine carriera e senza la testa rivolta ai titoli dei quotidiani. Insomma, la figura che servirebbe all’Unione Europea in questa contingenza così difficile per compiere il salto di qualità.

Il pensiero corre a dopo le elezioni europee di giugno, quando entreranno nel vivo le trattative tra i governi sulle nomine dei vertici: presidenza della Commissione, presidenza del Consiglio e presidenza dell’Europarlamento.

Draghi al posto di Michel?

Salvo sorprese, tutt’altro che improbabili, la tedesca Ursula von der Leyen verrebbe confermata per altri cinque anni alla guida della Commissione. Ha ottenuto da poco il placet del Partito Popolare Europeo, pur con numerosi distinguo e qualche malumore. Scontata la mancata rielezione del belga Michel nella posizione di presidente del Consiglio. Il suo è stato un flop assoluto. Ed è per questo che avanza il nome di Draghi. Rimanendo libera una delle caselle più importanti, chi meglio di lui per occuparla?

Sempre secondo Politico, la sua nomina avrebbe il vantaggio di riequilibrare i rapporti di forza tra Consiglio e Commissione. A causa di personalità impalpabili alla guida del primo, la seconda è andata assumendo una rilevanza sempre maggiore. Spieghiamo una cosa: la Commissione possiamo considerarla una sorta di governo dell’Unione Europea, mentre il Consiglio è l’organo che riunisce i 27 capi di stato e di governo. Entrambi hanno il potere di fissare l’agenda politica nel continente.

Delicati equilibri politici europei

Delicati equilibri politici europei © Licenza Creative Commons

I punti di debolezza

Le chances di Draghi di farcela sono tante e poche allo stesso tempo.

Troppe le variabili in gioco per poter fare previsioni a poco meno di tre mesi dalle elezioni. In primis, dipenderà molto dagli equilibri politici tra i partiti. Se il PPE riuscirà a mantenere la guida della Commissione, il PSE (socialisti) reclameranno un’altra posizione preminente. A quel punto, o i popolari mollano la presidenza dell’Europarlamento, attualmente detenuta dalla maltese Roberta Metsola, o dovranno essere i liberali a smontare le tende al Consiglio. Michel appartiene a questa famiglia politica, capeggiata dal presidente francese Emmanuel Macron. E quanto ad arroganza, l’Eliseo non è mai stato secondo a nessuno.

Draghi è ammirato dalla stragrande maggioranza dei politici europei (e non solo), ma ha il difetto di non indossare alcuna maglia di partito. E poiché la spartizione avviene per criteri di appartenenza politica, questo per lui è un forte punto di debolezza. In fondo, nessuno lo sente come un “proprio” uomo. D’altra parte, è italiano. E questo può diventare un vantaggio, visto che il nostro Paese attualmente non detiene più alcuna carica importante tra quelle menzionate. E siamo insieme a Germania e Francia tra i grandi stati fondatori della UE.

Agenda Draghi respinta in Germania

E c’è la famosa “agenda Draghi”. Von der Leyen ha commissionato all’ex premier e ad Enrico Letta due rapporti. Il primo dovrà a breve riportare sulla competitività. Le sue idee in materia sono chiarissime e note a tutti: o l’Europa avanza verso una maggiore integrazione politica o muore. A suo avviso, il mercato dei capitali deve diventare finalmente unico sul serio, bisogna completare l’unione bancaria e guidare processi come la transizione energetica con emissioni di debito comune (Eurobond).

Tutte proposte respinte dalla Germania. I tedeschi osteggiarono Draghi quando fu alla guida della BCE. La sua politica monetaria ultra-espansiva fece venire le orticarie alla Bundesbank.

La stampa teutonica lo definì “un assassino dei risparmiatori tedeschi”. Sul piano simbolico, la nomina di “Super Mario” verrebbe accolta come una sconfitta per Berlino. E per quanto in declino sia il cancelliere Olaf Scholz con la sua zoppicante maggioranza, parliamo pur sempre della prima potenza economica europea.

La posizione di Giorgia Meloni su Draghi

La posizione di Giorgia Meloni su Draghi © Licenza Creative Commons

La posizione dell’Italia di Meloni

L’Italia di Giorgia Meloni sosterrebbe fino in fondo la carta Draghi? Alla nostra premier interessa contare a Bruxelles. E per contare sa che dovrà fare parte della prossima maggioranza. Per questo lavora a una alleanza tra PPE e ECR, il gruppo della destra conservatrice di cui è leader. I numeri potrebbero non bastare. A quel punto, bisognerà includere almeno i liberali, anche se il gruppo non appare affatto unito sull’opportunità di allearsi con una forza di destra. Macron detesta Meloni e teme che un passo del genere sdogani definitivamente in patria Marine Le Pen, che uscirà probabilmente trionfatrice alle europee di giugno.

La nomina di Draghi potrebbe finire per ostacolare le compensazioni politiche a favore degli sconfitti che serviranno. Più di ogni altra cosa, non è controllabile. E questo preoccupa governi e partiti. L’indipendenza di pensiero è una virtù nella vita, molto meno in politica. L’Unione Europea è la sommatoria di tanti interessi, spesso nazionali, altre volte di partito, perlopiù meschini e dalla visione cortissima. Tutti gli riconoscono di avere salvato l’euro e le istituzioni comunitarie con il suo whatever it takes, ma nessuno è disposto a ringraziarlo con atti concreti.

Carta Draghi in caso di impasse

La carta Draghi, tuttavia, sarebbe la prima e forse l’unica spendibile in caso di impasse. I sondaggi dicono che l’Europarlamento si sposterà a destra. Questo provocherebbe un terremoto, anche perché il PPE può cogliere la palla al balzo per liberarsi dell’abbraccio mortale con i socialisti e le politiche ambientaliste distruttive dell’economia varate in questi anni.

Ma trovare una convergenza su nomi di sintesi è affare arduo, anche perché Macron e Scholz non vorranno restare certamente fuori dai giochi. Anzi, punteranno ad orchestrarli il più possibile. Per non rischiare una rovinosa bocciatura – nell’estate del 2019 von der Leyen si salvò in Aula con i voti determinanti del Movimento 5 Stelle – l’italiano potrebbe diventare la soluzione che consenta a tutti di salvare la faccia, finanche alla guida della Commissione. A Meloni andrebbe benissimo: rivendicherebbe un connazionale ai vertici comunitari, grazie al quale giustificherebbe un’alleanza con chicchessia.

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