Mancano meno di due settimane alla prossima riunione del board della Banca Centrale Europea (BCE) e su una cosa gli analisti sembrano concordare: ci sarà un altro aumento dei tassi d’interesse. E’ vero che l’inflazione stia scendendo nell’Area Euro, ma ristagna su livelli ancora troppo superiori al target del 2%. A marzo, era del 6,9% su base annua. Soprattutto, l’inflazione “core, al netto dell’energia e degli alimentari, continua a salire. Sempre a marzo, risultava del 5,7%, dato record sin da quando esiste l’euro.

Non ci sono evidenze che stia per ripiegare, sebbene un “falco” come Joachim Nagel, a capo della Bundesbank, abbia dichiarato nelle scorse settimane di attendersi che scenda prima dell’estate.

La sua connazionale Isabel Schnabel, collega al board nel ruolo di consigliere esecutivo, ha cercato di convincere i governatori centrali dell’area che l’inflazione sia diventata un fenomeno legato alla domanda e non più all’offerta come l’anno scorso. In parole semplici, servirebbe un ulteriore aumento dei tassi d’interesse per frenare la corsa dei prezzi al consumo. Per non parlare del fatto che bisogna accumulare al momento quante più munizioni possibili da utilizzare per quando servirà una politica monetaria più accomodante. Tassi più alti creano margini congrui per eventuali tempi di lotta alla bassa inflazione.

Sulla base di questi dati oggettivi, sembra che le “colombe” abbiano poche argomentazioni per cercare di ribattere ai “falchi”. Tuttavia, le divisioni restano. Fosse per gli italiani Ignazio Visco e Fabio Panetta, ad esempio, prima di proseguire con la stretta monetaria servirebbe una pausa per verificare l’impatto delle misure sinora adottate, il quale tende ad essere avvertito con un certo ritardo. Ma i colleghi del Nord Europa ribattono che esisterebbe il rischio, come in passato, di “sovrastimare” gli effetti prodotti dalla politica monetaria. Inoltre, ritengono che una pausa possa mutare le aspettative del mercato, inducendolo a pensare che l’aumento dei tassi sia cessato definitivamente.

Aumento tassi BCE fino a giugno-luglio

Un assist per i “falchi” è arrivato anche dalla fine veloce della crisi bancaria scatenatasi nel mese di marzo. Se fosse proseguita, la stretta sarebbe finita senz’altro. Invece, la resilienza mostrata dal comparto induce il board ad andare avanti. Fino a quando? Il mercato sconta tassi sui depositi bancari al 3,75% entro settembre. A marzo, furono alzati al 3%. Questo implica che le aspettative siano già per un aumento dei tassi di altri 75 punti base o 0,75%. Non avrebbe granché senso per la BCE ritirarsi prima. Già ci si è fasciati la testa, perché disattendere le aspettative? Solo una stretta ancora più vigorosa rischierebbe, a questo punto, di provocare “danni”.

Resta il fatto che sulla migliore strategia da adottare a maggio non vi sia condivisione. Le “colombe” tirano per un aumento dei tassi dello 0,25%, i “falchi” propendono per un +0,50%. Probabile, quindi, che alla fine ci si accordi per un aumento di un quarto di punto, così da disporre di maggiori munizioni ai prossimi appuntamenti. Di questo passo, la cessazione della stretta avverrebbe con il board di fine luglio, giusto in tempo per favorire una pausa estiva con qualche certezza in più sui mercati.

L’aumento dei tassi, tuttavia, non esaurisce il novero delle misure a disposizione della BCE per combattere l’inflazione. Entro giugno bisognerà comunicare al mercato il nuovo ritmo con cui il Quantitative Tightening andrà avanti dal mese di luglio. Il taglio dei riacquisti dei bond è stato fissato fino ad allora a 15 miliardi di euro al mese. Aumenterà o resterà invariato? Al momento, l’ipotesi di sospenderlo non regge. Con un’inflazione di 3,5 volte sopra il target, l’eccesso di liquidità sui mercati resta abbondante e controproducente.

In più, con la fine della stretta sui tassi serve mantenere qualche altra misura restrittiva.

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