La crisi finanziaria globale del 2008/2009 segnò uno spartiacque sui mercati finanziari e ancor di più sul piano politico. Gli USA, che erano stati l’epicentro del terremoto, riuscirono a superare piuttosto in fretta quella terribile recessione dell’economia, avendo potuto confidare tra l’altro sul coordinamento delle politiche fiscali e monetaria. La Cina nel frattempo consolidava il suo ruolo di nuova superpotenza mondiale, mentre l’Unione Europea si dilaniava in dibattiti annosi e penosi su come reagire alla sfiducia dei mercati riguardo alla tenuta dei debiti sovrani, accentuandone e prolungandone la crisi.


Nel 2015 veniva sfiorata la Grexit, mentre l’anno seguente fu Brexit. Il referendum nel Regno Unito indetto dal governo Cameron per stabilire una volta per tutte se restare o meno della UE decretò la vittoria dei “Leave”. Il divorzio veniva formalizzato a fine gennaio 2020, a poche settimane dall’irruzione della pandemia nell’Occidente. Il Covid mette nuovamente a dura prova la sopravvivenza della UE, la quale reagisce stavolta con una politica di sostegno ai debiti dell’Eurozona e con un piano fiscale comune, attraverso il Recovery Fund. Sarà che Bruxelles abbia imparato la lezione di un decennio fa, sarà anche che lo shock sia stato simmetrico e richiedeva necessariamente una risposta coordinata, ma effettivamente le divisioni del recente passato si sono viste di meno negli ultimi mesi.
Tuttavia, neppure il tempo di tirare un sospiro di sollievo che la UE ha mostrato ancora una volta tutta la propria insipienza e inconsistenza politica. Le vaccinazioni dovevano essere il banco di prova per testare la capacità del continente di uscire dalla crisi sanitaria ed economica provocata dalla pandemia. Invece, hanno confermato l’assenza di istituzioni efficienti ed efficaci. Mentre gli USA hanno somministrato dosi per un numero pari al 30% della popolazione e il Regno Unito per oltre il 35%, nella UE siamo ancora intorno al 10%.
La lentezza delle campagne vaccinali nazionali dipende dalla carenza di forniture da parte delle case farmaceutiche e a sua volta impedirà alla nostra economia di ripartire da qui a breve. Fintantoché non saranno state vaccinate le fasce più a rischio della popolazione, infatti, le restrizioni anti-Covid resteranno attive.

Le vaccinazioni riprendono con AstraZeneca, per ora Italia prima sui richiami e la UE ammette il flop

UE superata da tutte le altre grandi potenze

Da cosa è dipeso il flop? Anzitutto, dall’assenza di case farmaceutiche nella UE che abbiano prodotto vaccini contro il Covid. Ad oggi, le società che hanno ottenuto l’autorizzazione dell’EMA sono la britannica AstraZeneca e le americane Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson. UE e Africa sono rimaste, dunque, gli unici due continenti ad essere privi di vaccini propri. Se si possono capire le ragioni per cui il continente africano non sia stato nelle condizioni di provvedere da sé, meno si può tollerare che la seconda area più ricca al mondo, dietro solo agli USA, non sia stata capace di tener testa ai suoi concorrenti. Persino Cina e Russia, infatti, hanno prodotto vaccini propri, aiutati forse dalla loro maggiore esperienza in fatto di lotta contro i virus.
Il russo Sputnik V è diventato un caso geopolitico imbarazzante per Bruxelles. Mosca è sotto embargo da parte di USA e UE, ma al contempo diversi stati comunitari le hanno fatto richiesta di vender loro il vaccino, mentre l’Italia lo produrrà dai prossimi mesi. Al di là delle enormi responsabilità di cui (si spera) prima o poi sarà chiamata a rispondere la presidente Ursula von der Leyen, firmataria dei contratti, il problema è più squisitamente strutturale: la UE fallisce ancora una volta nella risoluzione di problemi di natura globale, svelando la propria natura iper-burocratica, poco flessibile e la scarsa attenzione riservata negli ultimi decenni all’industria, si tratti di imprese attive nel comparto medicale o biochimico che in quello a scarso contenuto tecnologico, come il tessile (vedi il caso mascherine).


Di Ricerca & Sviluppo Bruxelles si riempie la bocca ogni volta che può, ma senza tradurre le parole in fatti, paralizzata da scontri fra interessi nazionali e dal controllo centralizzato e maniacale di ogni atto di investimento strategico. Lo stesso Recovery Fund da 750 miliardi, pur rappresentando un passo in avanti nell’affrontare uno shock simmetrico, ad un anno dalla pandemia non esiste ancora e probabilmente erogherà i primissimi aiuti solamente nella seconda metà di quest’anno, cioè con notevole ritardo rispetto al momento del bisogno. In conclusione, la pandemia ha confermato che:

  • gli USA sono e restano la grande superpotenza mondiale;
  • la Cina insegue sul piano geopolitico, economico e persino militare;
  • la Russia riesce a ritagliarsi un ruolo tra Asia ed Europa, trainata dalle sue abbondanti riserve petrolifere;
  • il Regno Unito ha vita fuori dalla UE e segna un punto contro di essa subito dopo la Brexit;
  • la UE non esiste proprio nei momenti in cui avrebbe un senso, cioè nella risoluzione di problemi che investono tutti gli stati comunitari.

 

Molti tra i politici europei invocano ulteriori cessioni di sovranità a favore di Bruxelles per sopperire a tali mancanze. Lo ha fatto anche il premier Mario Draghi nel chiedere la fiducia al Parlamento. Ma come si può pensare di trasferire maggiori poteri a un ente sovranazionale che ha dimostrato ripetutamente di non essere in grado di esercitare al meglio quelli che già possiede?

Sui tempi delle vaccinazioni si gioca già la “guerra” tra economie per la supremazia post-crisi

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