Il tasso di occupazione in Italia è tra i più bassi dell’area OCSE. Peggio di noi fanno solo Sudafrica, Turchia e Grecia. Solo il 57,3% della popolazione nella fascia di età 15-64 anni ha un impiego nel nostro paese, quando in Germania si sfiora il 75%, negli USA si ha il 73,5% e in Francia il 64,1%, solo per citare alcune tra le principali economie avanzate. Eppure, battiamo i tedeschi (e non solo loro) su un dato: lavoriamo molte più ore all’anno che in Germania.

Nel dettaglio, un lavoratore italiano spende sul posto di lavoro 1.718 ore all’anno della sua vita, quando uno tedesco “solo” 1.366 ore, il dato più basso di tutta l’area, ovvero 352 ore in meno. A conti fatti, in Italia, lavorano in molti di meno che in Germania, ma per più ore a settimana, per l’esattezza 6 ore e tre quarti. La media OCSE è poco superiore a quella dell’Italia, ovvero di 1.763 ore annue.

Il dato forse più clamoroso riguarda la Grecia, che a fronte del terzo peggiore risultato in termini di occupazione, vanta la media di ore lavorate per ciascun occupato più alta di tutta l’area OCSE con 2.026 euro, 308 più di un italiano e ben 660 in più di un tedesco. Una rivincita morale, forse, che sfaterebbe l’immaginario collettivo sui greci come di un popolo del dolce far niente. (Leggi anche: Lavoratori italiani occupati 7 anni in meno dei tedeschi)

138 ore all’anno in più di tempo libero in Italia rispetto al 1995

E i rapporti sono stati più o meno questi anche nei decenni passati. Nel 1995, un italiano lavorava mediamente 1.856 ore all’anno, 138 più di oggi, ovvero quasi 2 ore e 40 minuti in più a settimana, pari a oltre 17 giorni lavorativi pieni in più ogni anno. Un tedesco impiegava al lavoro 1.528 ore e un greco ben 2.186 ore. La media OCSE era in quell’anno 1.865 ore, quasi perfettamente uguale a quella registrata dall’Italia.

Dunque, bassa occupazione tenderebbe a coincidere con un maggiore numero di ore trascorse al lavoro. Come se quei pochi che sono occupati dovrebbero sgobbare per quanti le imprese rinunciano ad assumere per una qualche ragione. (Leggi anche: Lavoratori italiani in servizio 15 anni meno degli islandesi)

 

 

 

 

Bassa occupazione e alto numero di ore lavorate

La conferma arriva con gli altri paesi esaminati: in Turchia si trascorre al lavoro 1.832 ore all’anno, ma il tasso di occupazione è il più basso dopo il Sudafrica con il 50,4%. Gli USA si attestano sopra la media con 1.789 ore e a fronte di un tasso di occupazione del del 69,3%, superiore al 67% della media OCSE. In Svizzera, dove lavorano 80,6 persone su 100 della fascia 15-64 anni, si passa al lavoro 1.568 ore all’anno, 150 meno che in Italia. Lo stesso in Svezia: occupazione al 76,2% e ore lavorate 1.611. In Norvegia, occupazione al 74,3% e ore lavorate 1.408 all’anno, le più basse dopo la Germania. In Olanda, occupazione al 75% e ore lavorate 1.420. In Danimarca, siamo al 74,8% e 1.458.

Cosa ci dicono questi numeri? Più è alta l’occupazione, minore tende ad essere l’orario di lavoro in azienda. Perché? Le ragioni potrebbero essere diverse: le economie con il maggior numero di occupati sono generalmente quelle più tecnologicamente avanzate, dove il lavoro umano tende ad essere sgravato dalle fatiche del passato sia come intensità, che in termini di tempo impiegato. L’Italia, quindi, sarebbe tra quei paesi con basso grado di innovazione tecnologica, in parte per le dimensioni mediamente molto piccole delle sue imprese, dove risulta necessario per un lavoratore trascorrere un monte-ore maggiore all’anno al lavoro.

Un’altra ragione potrebbe essere quella sopra accennata: l’occupazione è più bassa dove la regolamentazione del lavoro, la burocrazia e la tassazione rendono poco conveniente assumere.

Si pensi al caso delle piccole aziende italiane, per le quali al quindicesimo dipendente assunto scatta l’applicazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, che gli imprenditori, a torto o a ragione, percepiscono come un elevato rischio per la propria libertà di licenziare. Ebbene, questi disincentivi spingerebbero a concentrare il lavoro su un numero relativamente basso di occupati. D’altronde, è quanto ci ha insegnato empiricamente la flessibilità del lavoro dalla legge Biagi del 2003 al Jobs Act del 2015: a parità di condizioni macro-economiche, l’occupazione tende a crescere con regole meno rigide per le assunzioni e i licenziamenti. (Leggi anche: Stipendi lavoratori italiani, cattive notizie)