Quante volte ci siamo sentire dire che in Italia il lavoro ci sarebbe, ma che spesso manca la voglia di lavorare? Un cliché, per carità, su cui qualche imprenditore di quart’ordine specula per giustificare condizioni retributive (e non) fuori mercato. Dalle classifiche internazionali, risulta che l’Italia sia tra i paesi OCSE con la minore percentuale di laureati rispetto alla popolazione in età adulta. Questo è considerato un male per le prospettive di crescita della nostra economia, perché solo lavoratori specializzati e ben istruiti potranno aumentare i ritmi di crescita della produttività e farci compiere in autonomia quel “salto” tecnologico che nell’era della globalizzazione risulta forse essere l’unico in grado di innescare meccanismi virtuosi per non restare indietro.

Ciononostante, non è detto che la laurea in sé sia sempre un investimento che valga la pena realizzare.

Lavoratori senza competenze e pochi laureati, così l’Italia non riparte mai

In America, da anni il dibattito pubblico si sta infuocando attorno al cosiddetto “students loan debt”, il debito acceso dagli universitari, esploso alla bellezza di oltre 1.500 miliardi di dollari. Circa un adulto under-60 su 4, cioè 44,7 milioni di persone, risulta oggi indebitato. Si tratta di prestiti ricevuti dallo stato per pagarsi gli studi e che devono essere restituiti dopo la laurea. Sino a non molti anni fa, il problema non era granché percepito, perché i debiti venivano onorati senza grosse difficoltà. Adesso, non è più così. Mediamente, ciascuno studente è esposto per oltre 37.000 dollari e paga rate mensili di 400 dollari. Ma ben la metà di loro non sarebbe in grado di affrontare un imprevisto di 400 dollari e, soprattutto, l’11,5% al terzo trimestre dello scorso anno era indietro con i pagamenti di oltre 90 giorni, una percentuale doppia rispetto al 2003.

Il dato è così allarmante, che entrambi gli schieramenti propongono soluzioni per rimediare al problema. Aldilà delle proposte prospettate, il tema che rileva è un altro: se gli studenti americani non sono in grado di pagare i debiti contratti per laurearsi, evidentemente non versano in buone condizioni finanziarie.

E se ciò sta accadendo, è il sintomo che la laurea non abbia loro portato a svolgere lavori davvero remunerativi. In altre parole, è stato un investimento sbagliato e che lo stato, pur partendo da buone intenzioni, ha incentivato, abbattendone i costi e facendo diventare più allettante un titolo di studio, che in molti casi non determina nemmeno stipendi superiori a quelli che lo studente finanziato avrebbe percepito con il solo diploma. Anzi, in molti casi si trova a svolgere un lavoro per il quale la laurea nemmeno serve.

Laurea spesso come “inganno” per gli studenti

La tragedia reale del debito studentesco in America è proprio questa: un trilione e mezzo di dollari è acceso sulle spalle di milioni di persone, che avrebbero potuto benissimo fare a meno della laurea e, quindi, dello stesso debito. E’ come se avessi contratto un mutuo per acquistare una villa, ma alla fine mi sono ritrovato a vivere in una catapecchia. In altre parole, la laurea è diventata un titolo più alla portata di tutti, ma che a differenza del passato non solo non garantisce stipendi più alti, ma spesso nemmeno un’occupazione più certa. Se così è, bisogna evitare di trasmettere impulsi sbagliati alle nuove generazioni, incentivando gli studenti a iscriversi a una qualche facoltà universitaria, prospettando loro un futuro inesistente e privandoli di alternative, che sarebbero più concrete, immediate e meno costose.

Come i robot e la tecnologia cambieranno il mercato del lavoro 

Attenzione, non stiamo affermando che la laurea sia inutile o che il diritto allo studio non vada sostenuto. Semplicemente, non bisogna commettere l’errore opposto, ovvero di spingere tutti a prendersi una laurea, frustrandone successivamente le aspettative.

Anche perché è molto difficile, poi, liquidare il problema di salari bassi e occupazione carente invitando un laureato ad “abbassarsi” a svolgere mansioni umili, magari da operaio. Significa implicitamente ammettere di averlo tratto in inganno, di avergli fatto perdere anni preziosi della sua vita tra inutili banchi di un ateneo e tra un inutile esame e l’altro. E questo rischia di essere particolarmente vero in una nazione come l’Italia, dove l’economia si concentra nella produzione di prodotti a basso contenuto tecnologico e dove le dimensioni medie delle imprese sono minuscole, quasi sempre a gestione familiare e con investimenti scarsi. Con la conseguenza che lo stato rischia di impiegare risorse, che potrebbe destinare al miglioramento dell’occupazione per altre vie.

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