Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, l’Arabia Saudita avrà bisogno quest’anno di quotazioni del petrolio pari a circa 88 dollari al barile per portare i conti pubblici in equilibrio. A ottobre, lo stesso istituto aveva stimato quotazioni a 70 dollari sufficienti per raggiungere il cosiddetto “break-even”. Cos’è accaduto negli ultimi mesi? Riad ha annunciato un piano di investimenti pubblici per ravvivare l’economia saudita, che nel 2017 è stata in recessione (pil a -0,5%) per la crescita inferiore alle attese del settore non petrolifero, a fronte di una contrazione di quello petrolifero.

E così, anche quest’anno il regno chiuderà in deficit il bilancio, con un rosso atteso al 7,3% del pil. Tuttavia, per l’anno prossimo gli dovrebbero bastare quotazioni a 80 dollari per tenere il bilancio in pareggio. Al momento, un barile di petrolio lo si acquista ancora a cifre comprese tra 70 e 75 dollari, ben più basse dei livelli che servirebbero ai sauditi per stare tranquilli sul piano fiscale.

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Nei prossimi mesi, però, a rimpinguare le loro casse statali ci penserà l’IPO di Aramco, il colosso petrolifero pubblico, che ogni giorni estrae quasi 10 milioni di barili dal sottosuolo, esportandone il 70%. Secondo le stime della società e della monarchia, la quotazione in borsa della compagnia, attesa tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2019, dovrebbe fare introitare a Riad 100 miliardi di dollari, ovvero il 100% del capitale verrebbe valorizzato intorno ai 2.000 miliardi. Secondo gli analisti indipendenti, Aramco deterrebbe riserve di petrolio per 270 miliardi di barili, di poco superiori a quelle stimate dallo stesso regno negli ultimi anni.

L’IPO avrà conseguenze vistose sull’economia saudita. Il Tawadul, l’indice della Borsa di Riad, ne beneficerebbe in termini di capitalizzazione, considerando che le 191 società quotate valgono oggi circa 500 miliardi. Se tutto il 5% della compagnia fosse quotato in loco, la capitalizzazione complessiva salirebbe all’istante fino al 20%.

In realtà, almeno una quotazione secondaria spetterebbe a una delle principali borse straniere. In corsa vi sono New York, Londra, ma anche Hong Kong. L’obiettivo è di attirare più capitali possibili, sebbene l’IPO più grande della storia rappresenterà un’occasione unica per vivacizzare la finanza nazionale.

Riforme saudite legate alla crisi delle quotazioni

Fino al giorno della quotazione, l’Arabia Saudita sosterrà con convinzione i prezzi internazionali. Per farlo, nel novembre 2016 ha siglato un accordo con i partner dell’OPEC, oltre che una decina di produttori esterni, tra cui la Russia, mirato a porre un tetto alla produzione giornaliera. Il regno si è auto-imposto, quindi, una restrizione delle estrazioni, ma ha sin qui raggiunto l’obiettivo di far schizzare le quotazioni del Brent dai 40 dollari di un anno e mezzo fa ai 75 dollari a cui sono arrivate nelle ultime sedute. Più caro un barile, maggiore il valore che analisti e investitori assegneranno alle azioni emesse da Aramco.

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Il Principe Mohammed bin Salman, però, punta alla diversificazione dell’economia nazionale per sganciarla dall’eccessiva dipendenza dal petrolio. Per questo, ha adottato negli ultimi mesi provvedimenti rivoluzionari per il conservatorissimo regno wahabita, come la riapertura dei cinema, l’accesso delle donne negli stadi, la possibilità per le donne di guidare un’auto e senza autorizzazione del marito o di altro parente maschio, nonché altre azioni tese ad agevolare l’inserimento delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro, tagliando i generosi sussidi elargiti alla popolazione negli anni d’oro del boom petrolifero e avviando una certa austerità nel settore pubblico. La crisi del petrolio, diremmo, ha sostenuto i diritti umani dei sauditi e avviato un percorso di sostegno all’economia privata.

La risalita degli ultimi mesi frenerà le riforme? In teoria, il rischio c’è. Va detto, però, che Riad è la prima ad essere consapevole del rialzo temporaneo dei prezzi, dato che l’accordo per porre un tetto massimo alla produzione dentro e fuori dall’OPEC resterà in vigore fino alla fine dell’anno, dopodiché si dovrebbe tornare gradualmente alla libera determinazione dei livelli estratti. E con l’America che continua ad aumentare le sue estrazioni, quasi toccando il primato mondiale della Russia, passare dal boom al crollo sarebbe questione di poco tempo.

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