Quando la settimana scorsa la premier Giorgia Meloni tenne la conferenza stampa a Berlino con il cancelliere Olaf Scholz, una giornalista tedesca le chiese se considerava ancora “la Germania un partner affidabile”, alla luce del pasticcio sui conti pubblici. Dopo avere precisato che non avrebbe commentato una vicenda politica interna ad un altro stato, ribadiva la fiducia verso la prima economia europea. Nel frattempo, Scholz alzava gli occhi al cielo. Queste immagini hanno fatto il giro del mondo. Le parti in commedia si sono rovesciate.

Nel mirino non ci sono più i bilanci statali traballanti del Sud Europa, bensì i conti dell’austera Germania.

Il pasticcio dei conti pubblici truccati

I tedeschi hanno un termine per descrivere quel senso di soddisfazione che si nutre sulle disgrazie altrui: “Schadenfreude”. Ed è un sentimento particolarmente in voga da settimane nel Sud Europa, dove i governi sono stati messi per anni in croce dai cosiddetti “paesi frugali” sullo stato dei loro conti pubblici. Una dozzina di anni fa, la Grecia rischiò persino di uscire dall’euro quando si scoprì che aveva truccato il bilancio per nascondere la dimensione effettiva del suo debito.

Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, guidò il fronte di coloro che ne reclamarono l’espulsione dall’Eurozona. La Grexit fu evitata per un soffio e soltanto per l’intervento in extremis di paesi come Francia e Italia. Ora, non vogliamo paragonare la Germania di oggi alla Grecia del decennio passato sul piano fiscale, ma che Berlino abbia truccato i bilanci è fuori di dubbio. Lo ha scritto nero su bianco la sua stessa Corte Costituzionale. In tutto, 869 miliardi di euro di debiti fuori bilancio, che adesso dovranno essere assorbiti dai conti ufficiali. Solo quest’anno, la spesa del governo federale sale di 60 miliardi. E per il quarto anno di seguito, il governo “semaforo” si trova costretto a invocare una sospensione del Schuldenbremse, la regola costituzionale che limita il deficit allo 0,35% del PIL.

Flessibilità per sé, non per gli altri

Il Partito socialdemocratico del cancelliere sta anche ipotizzando di chiedere la sospensione di tale regola per il 2024. I liberali capeggiati dal ministro delle Finanze, Christian Lindner, si oppongono. I Verdi si spingono oltre e chiedono una revisione della regola stessa per renderla più flessibile. Sostengono che l’eccessiva rigidità non consentirebbe alla Germania di investire in misura soddisfacente sul futuro e rischia di farle perdere la sfida della transizione energetica. In effetti, a meno che Lindner non recuperi altrimenti fondi statali, i 10 miliardi di aiuti promessi a Intel per la costruzione di due fabbriche di chip svanirebbero. E la società americana sarebbe pronta ad investire altrove.

La Germania sta scoprendo quanto importante possa rivelarsi la flessibilità. In questo clima, sta trattando sul nuovo Patto di stabilità per evitare che diventi più flessibile. Inutile dire che la credibilità accumulata in decenni di prudenza fiscale sia stata in buona parte dissipata. I magheggi contabili tedeschi non stanno passando inosservati. Se i 29 veicoli caricati di spese pluriennali fossero ricondotti al bilancio statale, il debito salirebbe sopra l’85% del PIL. Non arriverebbe certamente al 140% dell’Italia o al 110% della Francia, ma cosa ne sarebbe del suo rating tripla A?

Germania tra rischio recessione e ortodossia fiscale

Ad oggi i titoli di stato della Germania sono considerati massimamente affidabili sui mercati. La vicenda non ha scalfito minimamente tale fiducia, come dimostrano i rendimenti dei Bund. Ciò non toglie che il governo non possa permettersi di tirare troppo la corda. Ed è anche questo il motivo per cui deve segnalare un ritorno all’ortodossia fiscale sin da subito. Un eventuale declassamento avrebbe implicazioni (geo)politiche e finanziarie enormi. Segnerebbe la fine di un’era per l’Area Euro e porterebbe con ogni probabilità ad una crisi politica a Berlino con riflessi anche a Bruxelles.

Il guaio è che per fare quadrare i conti pubblici tedeschi, ora Lindner dovrà tagliare tutta una serie di spese. La conseguenza sarà di acuire la recessione in corso, alimentata dal calo dei consumi interni. E questo sta già colpendo l’economia italiana, che esporta in buona parte proprio in Germania. C’è il serio rischio di un avvitamento del PIL verso il basso. Scholz non ha né la caratura personale, né l’agibilità politica per uscire dal vicolo cieco in cui il suo governo è andato ad infilarsi. Se non fosse per le conseguenze che questa impasse sta avendo sul resto del continente, altro che Schadenfreude!

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