La Commissione europea ha dato il via libera alla revisione del Pnrr chiesta dall’Italia la scorsa estate. L’ok formale dovrebbe arrivare alla riunione dell’Ecofin dell’8 dicembre. Al nostro Paese spetteranno 2,8 miliardi di euro in più al 2026, cioè 194 miliardi contro i 191,5 miliardi sinora previsti. Ma non è questo il vero risultato della lunga trattativa tra Roma e Bruxelles. Sono stati rivisti 145 tra obiettivi e investimenti e il governo di Giorgia Meloni può cantare vittoria sulla capacità di riformare il Piano nazionale di ripresa e resilienza secondo voci di spesa più in linea con i nostri obiettivi.

Quarta rata in arrivo

Ci saranno più stanziamenti a favore degli investimenti, tra cui contro il dissesto idrogeologico. Ricordate le polemiche dei mesi scorsi, quando le opposizioni accusavano l’esecutivo di ritardi sul Pnrr e di mettere a repentaglio l’incasso delle nuove rate con la richiesta di modifiche? Spazzate via. La terza rata è stata incassata in ottobre e la quarta da 19,4 miliardi dovrebbe arrivare entro poche settimane.

Rendimenti giù su ok a nuovo Pnrr

Questa mattina, i rendimenti decennali italiani si sono riportati sotto il 4,40%. Forse ha inciso proprio la notizia sul Pnrr del fine settimana, perché conferma che i rapporti tra Italia e Commissione siano molto positivi e, soprattutto, che il governo Meloni ha capacità di incidere sui dossier che lo interessano.

In poche settimane, tutte le nubi che si pensavano avrebbero sostato sopra Palazzo Chigi si sono diradate. L’Italia ha superato indenne il giudizio di ben quattro agenzie di rating, non solo evitando il declassamento, ma persino ottenendo una promozione dell’outlook da parte di Moody’s, la più temuta. Ha strappato un “sì”, pur con riserva, alla Legge di Bilancio per il 2024, mentre la Francia se l’è vista sostanzialmente bocciare da Bruxelles. Il lavoro del ministro Raffaele Fitto sul Pnrr ha esitato i suoi frutti e adesso andiamo alle battute finale della trattativa sul nuovo Patto di stabilità.

Su regole di bilancio Italia tratta con Germania e Francia

A Berlino, Meloni ha incontrato il cancelliere Olaf Scholz mercoledì scorso. Le posizioni tra i nostri paesi sono apparse più vicine di quanto ipotizzato anche sulle regole fiscali che l’Unione Europea si dovrà dare dall’anno prossimo. Ma sappiamo che la Germania non vuole rinunciare all’applicazione automatica dei criteri per i paesi che trasgrediranno. Teme una loro politicizzazione, come avvenuto prima del Covid con Francia e Spagna eternamente graziate sull’eccesso di deficit. L’Italia vuole flessibilità, sapendo di essere la peggiore della classe sul fronte debito pubblico.

Sarebbe un en plein per il governo se riuscisse a portare a casa il risultato sperato anche sul Patto di stabilità. La trattativa va avanti parallelamente al Mes, la cui approvazione da parte del Parlamento dipende essenzialmente dalle concessioni ottenute in sede europea su deficit e debito. Fatto sta che le opposizioni urlano per coprire l’evidenza: l’Italia oggi sta meglio di un anno fa, quando al governo c’erano loro. Vanta uno spread più basso, pur con tassi di interesse della Banca Centrale Europea notevolmente più alti. La borsa corre, le banche chiudono i trimestri con profitti record, la separazione e la vendita della rete Tim sono in corso e una prima quota del 25% di Monte Paschi è stata venduta in poche ore sul mercato con relativa plusvalenza teorica.

Pnrr serve da stimolo ad economia italiana

E l’economia italiana? Pur in un contesto complicatissimo, sta evitando ad oggi la recessione. Era partita benissimo all’inizio dell’anno, poi si è spenta per la crisi in Germania. I consumi interni arretrano, ma risultano più che compensati dall’aumento delle esportazioni nette.

Il nuovo Pnrr servirà proprio a sostenere il PIL con risorse incanalate a favore di voci di spesa di cui abbiamo maggiormente bisogno. D’altro canto, il governo Meloni teme che la parte più difficile arrivi ora e consista nella capacità di raggiungere gli obiettivi con una Pubblica Amministrazione notoriamente elefantiaca e inefficiente. E’ la grande riforma che manca da decenni in Italia.

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