Christine Lagarde ha annunciato al board di giovedì scorso che la BCE avvierà la “revisione strategica” con cui procederà a rivedere la definizione del target d’inflazione, ad oggi “vicino, ma di poco inferiore al 2%”. A suo fianco si sono schierati i governatori centrali di Finlandia e Olanda, con il primo a sostenere la necessità di una riforma all’insegna di un obiettivo “simmetrico” e il secondo a sottolineare la necessità che l’obiettivo venga indicato con chiarezza e sia definibile allo stesso modo da tutti.

Board BCE: Lagarde “giocherà”con l’inflazione, ecco cosa significherà per l’euro

Davvero, però, risulta difficile che accademici, esperti e finanche “ordinary people”, come da volontà della francese, vengano scomodati per puntualizzare quale sia il livello d’inflazione considerato obiettivo da centrare per la stabilità dei prezzi nell’Eurozona. Se è vero che esso risulti poco preciso, al contempo non possiamo dubitare che i mercati sappiano che la BCE punti a un’inflazione di poco inferiore al 2%. Potremmo dibattere se si tratti dell’1,9% o dell’1,8%, ma stiamo parlando di decimali, insignificanti ai fini del ragionamento.

No, Lagarde non punta a scrivere nero su bianco qualcosa di più puntuale per fare chiarezza, semmai intende rendere più flessibile la politica monetaria, così da evitare scelte obbligate nel caso in cui l’inflazione dovesse risalire attorno all’attuale target per diversi mesi consecutivi. A quel punto, non potrebbe che modificare la “forward guidance”, avvicinando il rialzo dei tassi e il previo ritiro degli stimoli monetari. Ma l’economia nell’Eurozona non si mostrerebbe capace di sostenere un aumento del costo del denaro, almeno non una buona parte di essa, praticamente il Sud Europa.

Quale target d’inflazione?

Ecco che questo problema rende necessario giungere a una definizione più flessibile del target d’inflazione. Come? La Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra perseguono un obiettivo “simmetrico”, nel senso che se il tasso d’inflazione rimane inferiore al target per un periodo, esse tollerano che salga sopra di esso per un po’, così da compensare l’andamento debole precedente.

L’inflazione diventa così un obiettivo da intendersi pluriennale. Poiché l’Eurozona non centra il target da inizio 2013, per anni tollererebbe che l’inflazione salisse a oltre il 2% per un periodo congruo (anni?). Questo implicherebbe tassi bassi ancora a lungo nell’area, anche nel caso di surriscaldamento dei prezzi trainato da una crescita economica più vigorosa.

Attenzione, però, ad avere fatto i conti senza l’oste. La Germania è ostile a questo approccio, perché sottintende una certa tolleranza verso una pur temporanea instabilità dei prezzi, la quale non verrebbe più intesa formalmente come tale. Per questo, la Bundesbank agirebbe, coadiuvata da alleati come Olanda, Austria e Slovenia, per rendere l’obiettivo sì più flessibile, ma solo teoricamente. Se il board si accordasse su un target nel range 1,5-2,5%, ad esempio, significherebbe che già adesso la BCE sarebbe nelle condizioni di alzare i tassi o almeno di tagliare gli stimoli monetari. Il 2% diverrebbe un riferimento medio, ma già prima che si arrivi a tale percentuale, Francoforte diventerebbe più restrittiva.

In un certo senso, è come se Lagarde avesse aperto un dibattito senza conoscerne l’esito. La sua spinta va nella direzione di tenersi le mani più libere per un periodo di tempo maggiore, ma dovrà vedersela con il fronte tedesco, che, dopo avere subito il mandato di Draghi, non vuole passare anche i prossimi otto anni all’opposizione. La vittoria dell’uno o dell’altro avrà un impatto tutt’altro che secondario sui mercati finanziari, perché segnerà la politica monetaria nei prossimi anni in un senso o nell’altro.

La BCE dopo Draghi litigherà sull’obiettivo d’inflazione?

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