Il debito pubblico italiano è tornato a far tremare l’Eurozona. Se c’è una ragione per cui la BCE non si azzarda ancora ad alzare i tassi d’interesse, è perché teme una nuova crisi dello spread nel Bel Paese. E questo si è allargato fino a 185 punti base, ai massimi da inizio pandemia. I rendimenti a 10 anni sono saliti al 2,8%. E si torna a parlare dopo anni di sostenibilità del debito. Con Mario Draghi premier! E cosa succede quando i mercati nutrono dubbi sul fatto che riceveranno indietro i prestiti elargiti allo stato? Il governo di turno rievoca lo spettro di una patrimoniale.

Nel 2011, l’allora governo Monti tassò tutto ciò che poteva essere tassato. Stavolta, nessuno ne parla esplicitamente.

Di patrimoniale si sente dibattere da sempre a sinistra e tra i sindacati. Ma Palazzo Chigi non ne ha fatto alcun accenno, se non per smentire che la riforma del catasto varata comporterà il pagamento di maggiori tasse a carico dei proprietari di case. Tuttavia, una patrimoniale esiste già ed è sotto gli occhi di tutti. Anzi, è visibilissima nei nostri portafogli quando facciamo la spesa. Da alcuni mesi a questa parte, non si fa altro che parlare di carovita, dell’alta inflazione che divora il potere d’acquisto. Ebbene, trattasi di patrimoniale occulta.

Il costo della patrimoniale occulta

L’ISTAT ci fa notare che nel primo trimestre gli stipendi degli italiani siano aumentati mediamente dello 0,8% contro un’inflazione al 6,4% ad aprile. Tenete conto che fino all’8 luglio sarà attivo il taglio delle accise, senza il quale probabilmente l’inflazione italiana sarebbe già oltre il 7%. In altre parole, le retribuzioni di operai e impiegati stanno deprezzandosi al ritmo del 6% all’anno. E lo stesso dicasi sui risparmi liquidi, quelli non investiti e tenuti in banca. Erano oltre 1.838 miliardi a marzo.

Solamente tra stipendi e conti correnti, staremmo perdendo qualcosa come 150 miliardi di euro in un anno, circa 2.500 euro a testa, neonati compresi.

Se non è questa una patrimoniale, cosa lo sarebbe? Essa ha la stessa finalità di una stangata esplicita sulla ricchezza finanziaria, mobiliare e immobiliare delle famiglie: abbattere il debito pubblico. Questo è salito a quasi 2.740 miliardi, poco meno di 1.000 miliardi più alto del PIL nominale del 2021.

L’impatto dell’inflazione sul PIL

Grazie all’inflazione, proprio il PIL nominale aumenta e riduce così il peso del debito. Le banche centrali hanno atteso così tanto per reagire all’inflazione in virtù del malcelato desiderio di sdebitare i governi almeno delle spese effettuate sotto la pandemia. In realtà, l’alta inflazione di questi mesi sta avendo un effetto-boomerang sull’economia globale: riduce il tasso di crescita del PIL. Avendo minore potere d’acquisto, le famiglie sono costrette a ridurre i consumi e le imprese la produzione per via degli alti costi.

In Italia, ad esempio, la crescita del PIL era attesa dal governo Draghi al 4,7% nell’autunno scorso, adesso al 3,1%. Probabilmente, sarà ancora più bassa. Invece, l’inflazione è passata da 1,5% a oltre il 5% nelle previsioni ufficiali. Dunque, parte dei maggiori rincari è compensata dalla minore crescita. Questo in termini di PIL nominale. Ma la patrimoniale è ugualmente servita e sarà dolorosa, oltre che iniqua. I lavoratori dipendenti non potranno ambire all’adeguamento degli stipendi per due ragioni fondamentali: non hanno alcun potere negoziale, stando il basso tasso di occupazione in Italia; le imprese non sono nelle condizioni di concederglielo, perché alzano i prezzi solo per tenere testa ai costi.

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