“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. E’ la frase attribuita allo zio Ben e rivolta al nipote Peter Parker, alias Spiderman. E di grandi poteri sono state insignite le banche centrali nel corso degli ultimi anni. Tutto inizia, a dire il vero, con Alan Greenspan, rimasto a capo della Federal Reserve tra il 1987 e il 2006, praticamente attraversando ben quattro presidenti americani, da Ronald Reagan a George W. Bush. In quegli anni, l’uomo si convinse di essere invincibile. Fece appena in tempo a lasciare l’incarico prima che la sua politica monetaria producesse l’effetto indesiderato della più grave crisi finanziaria mondiale dalla Grande Depressione.

Lo strapotere delle banche centrali

Con il crac di Lehman Brothers nel 2008, le banche centrali avrebbero dovuto essere messe sul banco degli imputati per avere foraggiato la speculazione a colpi di “easy money”. Del resto, quando la FED aveva avviato la stretta monetaria nel 2004, l’inflazione americana stava già sopra il livello dei tassi di 2-3 punti percentuali. Oggi ci sembra quasi normale, ma proprio perché di ciò ci hanno convinto le banche centrali a colpi di denaro facile stampato dal nulla e che è finito non per sostenere la produzione di ricchezza, quanto la bolla finanziaria.

Fatto sta che con la crisi dei mutui subprime, le banche centrali non soltanto non pagarono pegno; anzi, i governi, disperati per il timore di ritrovarsi a gestire una depressione storica dell’economia, assegnarono loro il compito di risolvere ogni problema. C’era bisogno di fare debiti per sostenere imprese e famiglie? Le banche centrali stampavano denaro a tasso ridicoli, così da consentirlo. S’inventarono le misure non ortodosse, note come “quantitative easing”: acquisti massicci di bond pubblici e persino privati per abbassarne i rendimenti e con l’obiettivo formale di sostenere i tassi d’inflazione, caduti sotto i rispettivi target.

Questo spandi e spendi fece comodo ai governi, i quali pensarono così di riuscire a fare spesa pubblica senza alzare le tasse a nessuno, praticamente accontentando tutte le categorie sociali. Le banche e gli investitori finanziari fecero un sacco di soldi grazie alla compravendita di titoli finanziari. Chi se ne fregava se le economie occidentali continuavano a rallentare i ritmi di crescita. Le borse salivano ed esse erano indice indiscusso di benessere.

Dalla pandemia alla guerra

Poi qualcosa andò storto. Ci fu un imprevisto della storia noto come pandemia. Essa impose restrizioni draconiane per limitare i contagi. Le banche centrali si coordinarono per iniettare liquidità sui mercati mai come prima. Nel frattempo, i governi emisero quantità di debito pubblico senza precedenti per un lasso di tempo così breve. Il combinato tra stimoli monetari e fiscali da un lato e crollo della produzione dall’altro provocò la risalita veloce dei prezzi al consumo. I tassi d’inflazione si sono portate in questi mesi rapidamente ai massimi da 30-40 anni a questa parte. “Fattore temporaneo” hanno risposto le banche centrali. Senonché la guerra tra Russia e Ucraina le ha ora indotte a rivedere le loro stesse dichiarazioni, sebbene già da prima fosse evidente che di temporaneo vi fosse poco.

Finché l’inflazione era rimasta sottotono, nessuno reclamava la fine dell’easy money nel circuito finanziario e mediatico. Con l’inflazione al 7-8% e diretta alla doppia cifra, il clima è cambiato. Le banche centrali hanno paura di provocare la recessione dell’economia alzando i tassi e ponendo fine a un decennio abbondante di acquisti dei bond. Ma sanno che se non lo facessero, ad esplodere saranno i prezzi al consumo. E non passerà molto tempo prima che questa instabilità si traduca in disordini sociali. O i lavoratori accettano di subire passivamente l’erosione dei salari o reclameranno il loro adeguamento.

Nel primo caso, crolleranno i consumi; nel secondo, esploderà ulteriormente l’inflazione.

La catastrofe provocata dal denaro facile

La BCE è messa peggio di tutte. Non ha ancora cessato gli acquisti dei bond, tiene i tassi a -0,5% e l’inflazione nell’Eurozona è già salita al 7,5%. In altri tempi, ce ne sarebbe stato abbastanza per chiedere la testa del governatore e di tutti i funzionari esecutivi del board. Al netto della sua incompetenza, Christine Lagarde finge di non vedere ciò che sta davanti ai suoi occhi. Teme di frammentare i mercati dei capitali con una conseguente riedizione della crisi dei debiti sovrani nel Sud Europa. L’inazione non è, però, un’opzione. Il cambio euro-dollaro è precipitato da oltre 1,22 del maggio scorso a 1,08. E l’euro debole accentua il rialzo dei prezzi importati e pagati perlopiù in dollari.

Se c’è un esito positivo che deriva da questa crisi, è che lo strapotere delle banche centrali sia diventato insostenibile. Esse si sono palesate come un fattore di instabilità, stanno rivelando la loro reale natura di soggetti attenti più alla crescita della finanza che non alla stabilità dei prezzi. L’oscena orgia con i governi ha creato i presupposti per precipitare gli stati verso debiti insostenibili – se non a colpi di stamperie di denaro – ed economie stagnanti. Il risparmio è stato sacrificato sull’altare di un presunto bene superiore, cioè la salvaguardia dei bilanci pubblici. Sono stati distrutti i pilastri su cui poggia il capitalismo. I grandi poteri affidati alle banche centrali sono stati abusati abbondantemente. I signori del denaro hanno portato l’economia mondiale sull’orlo di una catastrofe tra gli applausi scrocianti dei governi abdicanti al loro ruolo di rappresentanti e mediatori degli interessi sociali.

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