Il governo Draghi ha vissuto la sua prima settimana nera sullo scontro interno alla maggioranza in merito alla riforma del catasto. La Lega non ha partecipato al Consiglio dei ministri di martedì sera, quando l’esecutivo ha deciso di esercitare la delega fiscale assegnatagli dal Parlamento, includendovi la revisione dei valori catastali. Neppure il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, esponente dell’ala “governista” e “draghiana” del Carroccio ha presenziato. Il dissenso sul punto è unanime nel centro-destra, sebbene Forza Italia abbia votato a favore.

Sulla riforma del catasto abbia già scritto fiumi d’inchiostro. I valori catastali in Italia sono fermi alla fine degli anni Ottanta e su di essi si pagano diverse imposte, tra cui l’IMU. Il governo da molti anni punta ad aggiornarli, avvicinandoli il più possibile ai valori di mercato. L’operazione comporterebbe mediamente almeno il loro raddoppio. Ad aliquote invariate, anche la tassazione raddoppierebbe. Ma Palazzo Chigi rassicura: nessun aumento delle imposte, perché il riordino sarà a gettito invariato e la riforma sarebbe un fatto di “trasparenza”.

Matteo Salvini, reduce da una batosta elettorale alle amministrative di settimana scorsa, ha definito la riforma del catasto una “patrimoniale”. Gli fa eco l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ha parlato di “suicidio politico”. Chi ha ragione? Bisogna premettere che effettivamente con il riordino non si avrebbe nell’immediato alcun aumento delle imposte. Fino al 2026, infatti, i contribuenti italiani continuerebbero a pagare sulla base delle attuali aliquote. E allora, che senso avrebbe la riforma?

Riforma del catasto, cosa accade alle case nei prossimi anni

L’intento del governo sarebbe duplice: fare emergere gli immobili ancora non accatastati e fornire una valutazione quanto più corretta possibile dei valori delle case. A che pro? Intanto, lo chiede l’Unione Europea tra le centinaia di riforme da eseguire per ottenere prestiti e sussidi con il Recovery Fund.

Ma da Bruxelles la richiesta non avviene per ragioni statistiche, bensì per avere un prelievo fiscale quanto più idoneo possibile. Se anche lo stato decidesse di ridurre proporzionalmente le aliquote per mantenere il gettito invariato, ciò varrebbe sul piano macro, mentre milioni di proprietari si ritroverebbero a pagare di più e altri di meno. Affermare che tutti continuerebbero a pagare quanto oggi appare falso. Semmai, questo lo scenario per il prossimo quinquennio. Dopodiché, nessuna certezza.

In estrema sintesi, la riforma del catasto offre gli strumenti, affinché in futuro i governi possano aumentare il prelievo fiscale sugli immobili. Che sia una scelta giusta o sbagliata, dipende dai punti di vista. Ma appare innegabile che così sarà. Lo ammette anche il sottosegretario all’Economia, Maria Cecilia Guerra, quando dichiara che molti contribuenti pagheranno di meno. Implicitamente, sta dicendo che altri pagheranno di più, cioè che una certa redistribuzione del carico fiscale ci sarà.

Chi rischia la mazzata? In generale, chi possiede un immobile in centro, specie di una grande città come Milano, il cui boom immobiliare negli ultimi decenni è stato eclatante. I proprietari di immobili in periferia dovrebbero subire una stangata meno forte o nulla, mentre coloro che posseggono immobili in aree demograficamente e commercialmente in declino potrebbero persino ritrovarsi a pagare meno di oggi. Ad ogni modo, sarebbe corretto essere onesti con i cittadini: la riforma del catasto tendenzialmente aumenterà il prelievo. E sul punto non si tratta di prendere le parti di Salvini o di Draghi. Questa è la verità.

[email protected]