Il governo tedesco ha tagliato le stime di crescita per la Germania di quest’anno all’1% dal precedente 1,8%, prevedendo per l’anno prossimo un’accelerazione al +1,6%. Del resto, tutti gli indicatori macro segnalano burrasca per la prima economia europea. L’Ifo, il rilevatore del sentimento tra le imprese tedesche, a gennaio è sceso a 99,1 punti, il dato più basso dal febbraio 2016. Si è trattato del quinto calo consecutivo e il presidente dell’istituto, Clement Fuest, ha ammesso che l’economia starebbe vivendo una fase “di contrazione”.

A pesare sul cattivo umore degli investitori sarebbero, in particolare, la Brexit e pure lo “shutdown” negli USA. A novembre, la produzione industriale è diminuita del 4,6% su base annua e dell’1,9% rispetto al mese precedente, mentre vistosi cali sono stati segnalati anche dal Pmi manifatturiero e quello dei servizi.

Economia tedesca più vicina alla recessione, ecco i rischi in vista per la Germania 

Questi numeri dovrebbero allarmarci. Partecipando al World Business Forum di Davos, il premier italiano Giuseppe Conte ha dichiarato che la crescita economica nel nostro Paese per quest’anno potrebbe anche attestarsi all’1,5%. Trattasi di cifre fuori dalla realtà, in quanto già con l’ultimo trimestre del 2018, la nostra economia dovrebbe essere entrata tecnicamente in recessione. Servirebbe un’accelerazione fin troppo marcata per centrare l’obiettivo iniziale fissato dal governo nel Def ed è assai improbabile che questo accada in un contesto internazionale e, soprattutto, europeo di rallentamento. Se, poi, la Germania crescerà dell’1%, volete per caso che l’Italia si espanda persino di mezzo punto in più? E su quali basi? La manovra di bilancio non ha certo puntato sulla crescita, semmai sulla redistribuzione delle risorse già scarse. Sarebbe servita una legge di Stabilità molto più incisiva sul taglio delle tasse e sugli investimenti pubblici per sperare almeno di non rallentare rispetto ai ritmi modesti dei primi trimestri dello scorso anno.

Purtroppo, ormai è diventato assodato che quando la Germania e l’Eurozona corrono, l’Italia cammina a passo lento e che quando esse camminano, noi ci fermiamo quasi del tutto. E se, infine, si fermano, noi andiamo indietro. Abbiamo analizzato i dati dal 1999 al 2018, cioè dell’ultimo ventennio, che coincide con l’era euro. Come si può notare dal grafico, l’economia italiana risulta cresciuta più di quella tedesca in ben sei anni, tra il 2000 e il 2005, a smentita del pensiero comune, secondo cui l’euro ci abbia fregati e la Germania ne abbia approfittato a nostre spese. Erano gli anni in cui i tedeschi venivano definiti “il malato d’Europa”. Con l’eccezione del 2000, l’Italia crebbe anch’essa a ritmi mediamente lenti, ma pur sempre superiori a quelli tedeschi. Anzi, visti con le lenti di oggi, faremmo carte false per replicarli.

Il contraccolpo sull’economia italiana

La musica cambia sin dal 2006, anno in cui la Germania inizia una fase di vigorosa crescita economica, beneficiando probabilmente delle riforme del mercato del lavoro (“Hartz IV”) degli anni precedenti. Con l’unica eccezione del 2009, anno di massima crisi per l’economia mondiale, la sua economia si mostra sempre più dinamica di quella italiana. Prendendo a riferimento proprio questa fase, che parte dal 2008 e che arriva al 2018, troviamo che quando la Germania cresce a ritmi medio-alti (almeno dell’1,5%), l’Italia tende a segnare il passo, registrando un tasso inferiore medio dell’1,7%. Va molto peggio quando la Germania cresce poco, perché in quel caso la nostra economia tende a restare indietro del 2,6% all’anno. Insignificante sul piano statistico si rivela l’unico anno in cui la Germania è stata in recessione, il 2009. Lì, siamo andati sostanzialmente alla pari.

Nel complesso, la Germania dallo scoppio della crisi ad oggi è cresciuta mediamente dell’1,3% all’anno, l’Italia ha registrato una contrazione media dello 0,3%, per cui abbiamo subito un differenziale medio annuo di 1,6 punti percentuali.

Non è certamente detto che tale condizione debba essere permanente, ma va riconosciuto come non vi siano in corso elementi che facciano presagire un mutamento in nostro favore. Ciò ci spinga a temere, nel caso in cui la Germania effettivamente crescesse quest’anno dell’1% o anche meno, che l’Italia rischia o di registrare una stagnazione totale della sua economia o di vederla contrarsi per ben più dei due trimestri consecutivi, come da recessione tecnica.

Oltre tutto, le cause del rallentamento tedesco tenderebbero a colpire anche la nostra economia. Parliamo del rischio di una Brexit senza accordo tra Regno Unito e UE, del rallentamento dell’economia mondiale e delle tensioni commerciali, tutti fattori che incidono negativamente per stati esportatori come Italia e Germania. Con la differenza non di poco conto, che la Germania riuscirebbe (forse) a schivare la recessione anche con nubi sempre più dense sopra le sue esportazioni, giovandosi di una domanda interna solida e che potenzialmente il governo avrebbe modo di stimolare attraverso il bilancio pubblico, partendo dai surplus fiscali di questi anni, ignoti a quasi tutto il resto del mondo avanzato. L’Italia, viceversa, è chiamata a tagliare il proprio deficit, essendo tra gli stati più indebitati al mondo. Va bene l’ottimismo, purché non divenga parossistico. E dopo il boom economico intravisto dal vice-premier Luigi Di Maio, il rischio che la realtà stia sfuggendo di mano alla narrazione pure di questo governo è diventato altissimo, con il paradosso che persino le stime di Bankitalia e Fondo Monetario Internazionale di un pil a +0,6% quest’anno probabilmente si riveleranno fin troppo generose, nonostante siano finite nel mirino di Palazzo Chigi e Via XX Settembre.

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