Il 4 maggio l’Italia inizia a riaprire, ma stiamo attenti a pensare che già per quel giorno sarà tutto come prima. Il premier Giuseppe Conte ha voluto essere chiaro sul punto, sostenendo che sarebbe sbagliato aprire tutto subito. Non esistono date certe, ma sappiamo che per alcune attività considerate particolarmente a rischio, in quanto possibile fonte di contagio per il Coronavirus, il ritorno alla normalità sarà lungo. E quasi certamente, dovranno attendere 1-2 settimane in più per iniziare a lavorare.

Bar, ristoranti, palestre, parrucchieri ed estetiste rientrano tra le categorie maggiormente indiziate di riaprire l’11 o il 18 maggio, anche se cresce la loro pressione per anticipare i tempi.

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La regola della distanza sociale imporrà una rivoluzione ai titolari. Parrucchieri ed estetiste, ad esempio, potranno ricevere solo per appuntamento e poche persone al giorno. Dovranno sanificare i locali due volte al giorno, cioè prima dell’apertura e durante la pausa pranzo. Dovranno anche indossare mascherine e guanti. E quest’ultimo aspetto apre più di un interrogativo. In Italia, ancora oggi risulta difficile reperire i dispositivi di protezione e quando li si trova, i prezzi non sono sempre abbordabili.

Il governo sta pensando di imporre prezzi politici per le mascherine, così come l’obbligo per il rivenditore di fissare un prezzo per ciascuna di esse non superiore a quello che risulterebbe dalla vendita di un pacchetto suddiviso per il numero di pezzi. In pratica, se vendo un pacco di 10 mascherine a 20 euro, la singola non posso venderla a più di 2 euro. Il prezzo politico verrebbe fissato, invece, a 90 centesimi, ma non per le mascherine utilizzate da infermieri e medici, per le quali s’ipotizza, però, un livello massimo non troppo più alto (1,5-2 euro).

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Comunque la si pensi, trattasi di costi.

Una mascherina può essere indossata fino a un massimo di 4 ore. Nel caso di un parrucchiere o un’estetista, probabile che venga imposto il cambio a ogni cliente. Ma se questo è vero, significa che il costo di un taglio di capelli o di una ceretta diverrebbe più elevato per il titolare, il quale inevitabilmente tenderebbe a scaricarlo sulle tariffe praticate. E di questi tempi, tutto è pensabile, tranne che alzare i prezzi, specie se quelli di partenza fossero relativamente bassi, come nel caso di un taglio di capelli per uomini, ancora oggi in molti casi sotto i 10 euro o di una barba sotto i 5 euro in buona parte d’Italia. Dunque, queste categorie dovrebbero accettare una riduzione dei margini, mentre già il fatturato da un paio di mesi si è azzerato e continuerà a restare sottotono ancora per diversi mesi, fino a quando non verrà consentito un ritorno completo alla normalità.

Tra razionamento della clientela e aumento dei costi per praticare il servizio, alcune partite IVA se la vedranno davvero brutta. Parliamo di attività caratterizzate il più delle volte da costi fissi elevati, come l’affitto del locale, il personale dipendente, la bolletta della luce, il canone dell’acqua, la tassa sui rifiuti, etc. A proposito, sempre per un fatto di contenimento del rischio contagio, a parrucchieri ed estetiste verrebbe vietato di tenere lavoratori dipendenti. In pratica, all’interno del locale vi sarebbero solamente il titolare e il cliente, nessun altro. La misura rischia, però, di creare un dramma occupazionale, oltre che di colpire ancora di più il fatturato, perché laddove in un dato lasso di tempo venivano serviti due clienti, grazie alla suddivisione dei compiti, adesso bisognerà fare una cosa alla volta.

Potremmo trovare tutto questo giusto e scontato, ma stiamo parlando delle vite di centinaia di migliaia di persone, molte delle quali hanno aperto la loro attività indebitandosi, contraendo un mutuo con la banca, che pur essendo possibile sospendere, resta un fardello sulle spalle dei titolari, anche perché se diverrà impossibile tirare avanti a lungo in queste condizioni, il debito non si estinguerà lo stesso e andrà ripagato.

Drammi, che si aggiungono a quelli di un’Italia che solo da qualche settimana sta riscoprendo quanto sia bello osservare le regole. I lavoratori in nero, privi di copertura come la cassa integrazione, sono gli anelli deboli della lunga catena delle categorie produttive. Al sud, ve ne sarebbero 3 milioni e si capisce perché qui la rabbia e la frustrazione stiano montando ogni giorno di più.

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