Sono partite le indagini delle forze dell’ordine a Palermo sul gruppo Facebook che incita ad assaltare i supermercati, dopo che diverse persone sono uscite da un punto vendita della Lidl senza pagare. Dietro all’iniziativa vi sarebbero individui legati alla criminalità locale, ma che la questione non sia semplicemente di ordine pubblico lo testimonierebbe la stessa conferenza stampa del premier Giuseppe Conte di sabato, quando è stato annunciato l’invio ai Comuni di buoni spesa per 400 milioni di euro e tramite la Protezione Civile, che si affiancheranno ai 4,3 miliardi anticipati ai Comuni stessi e che dovranno essere destinati all’emergenza alimentare.

Emergenza Coronavirus: le ragioni dell’economia si scontrano con le vite umane

In Sicilia, nelle scorse settimane sono arrivati i militari, richiesti dal governatore Nello Musumeci per gestire i controlli. Ma dietro all’ingresso dei soldati vi sarebbe il timore proprio di disordini, che rischiano di esplodere man mano che l’astensione forzata dal lavoro priverà di reddito decine di migliaia di famiglie. Solo nella città di Palermo si stima che siano già 50.000 i cittadini rimasti senza reddito dopo il “lockdown” nazionale. E il problema non riguarda solo l’isola, ma tutto il sud. Anzi, nemmeno lo stesso nord ricco e produttivo vi sfuggirebbe.

Il governo Conte ha varato misure di sostegno ai dipendenti che hanno perso il posto o che si ritrovino a lavorare meno ore alla settimana, tramite l’estensione della Cassa integrazione a tutte le imprese, anche con un solo dipendente. Le partite IVA riceveranno 600 euro a titolo di compensazione per la perdita di fatturato accusata dalla chiusura coattiva delle loro attività. Inutile dire che questi interventi non bastino. Anzitutto, i 600 euro erogati ai lavoratori autonomi riescono a malapena a coprire le spese fisse, che non scompaiono con l’emergenza Coronavirus.

Dramma lavoratori in nero e partite IVA

E c’è una categoria sprovvista di qualsiasi tutela e che con ogni probabilità sarà la miccia che farà scoppiare la bomba in aprile: i lavoratori in nero.

L’Istat li quantifica in 3,7 milioni, di cui l’80% al sud. Sotto Roma, quindi, sarebbero ben 3 milioni i lavoratori senza contratto regolare, spesso mal pagati e senza possibilità di mettere da parte qualcosa per i periodi bui come questi e che possono finire sulla strada da un giorno all’altro senza avere diritto a un’indennità di disoccupazione o alla Cassa integrazione. Sono “invisibili” per lo stato, conteggiati formalmente come inoccupati o inattivi. Invece, sono le prime vittime di ogni crisi e, a maggior ragione, di questa chiusura prolungata delle attività economiche.

A un posto di blocco, un lavoratore in nero non può esibire alcuna auto-certificazione per giustificare i suoi movimenti; non può dire di recarsi in azienda, perché formalmente non è occupato. Costretto a restare a casa, non percepisce alcuna retribuzione, né un sostegno. Quando i casi sono pochi, tutto sommato l’economia riesce ad assorbire il colpo, ma quando milioni e milioni di lavoratori formalmente inesistenti si ritrovano tutti a casa e senza tutele, la situazione sociale diventa tesa ed esplosiva. Monta la rabbia e si costruisce terreno fertile anche per azioni scriteriate.

Dicevamo, nemmeno il nord si salva dal problema. Qui, più che il lavoro nero saranno le partite IVA a rappresentare fonte di forte malessere. Siamo abituati ad associarle ai grandi professionisti, a fasce sociali finanziariamente robuste e che senz’altro possono permettersi un fermo di qualche mese senza accusare perdite irreparabili. In molti casi, però, non è così. Molti lavoratori autonomi oggi sono semplicemente dipendenti mascherati, cioè giovani costretti ad aprire la partita IVA per collaborare con uno studio professionale, un’impresa, etc., in quanto non vengono assunti direttamente per evitare la burocrazia e i costi annessi al lavoro subordinato.

Dopo Pasqua reggiamo?

Molti altri sono realmente autonomi, ma fatturano meno di un dipendente, perché il mercato oggi è fortemente concorrenziale e ai pesci piccoli vengono lasciate le briciole dai pesci grossi. Si pensi alla figura dell’avvocato, con migliaia e migliaia di studi sparsi su tutto il territorio nazionale a cercare di sopravvivere. O a quelle imprese con uno solo o pochissimi dipendenti, che non possono permettersi di stare ferme più di qualche settimana, rischiando di perdere le commesse e di finire rimpiazzate dai clienti, specie se esteri.

Parliamo di un potenziale massimo di otto milioni di persone, molte delle quali saranno famiglie monoreddito, cioè con un’unica entrata mensile, quella sprovvista di tutele. E saranno una miscela esplosiva, nel caso in cui il contagio non si fermasse da qui a breve e il governo si trovasse costretto a prolungare la quarantena nazionale fino alla metà di aprile, se non alla fine del mese. Privare milioni di famiglie di un reddito così a lungo comporta l’assunzione di rischi sul piano della tenuta non solo sociale, bensì delle stesse istituzioni. I buoni spesa placheranno i bisogni più immediati, ma non basteranno per quantità e tipologia dello strumento stesso.

Per quanto efficace possa essere, uno stato non riuscirà mai a sopperire alle attività economiche, se non per qualche settimana. E se i risparmi complessivi sarebbero più che sufficienti a coprire qualche mese di fermo (saldo medio dei conti in banca a circa 16.000 euro), la loro distribuzione non si mostra equa. Molti nemmeno posseggono un conto corrente, non avendo nulla da accreditarvi o dovendo sfuggire ai controlli del Fisco, avendo entrate non dichiarabili. Quindi, la Pasqua potrebbe trasformarsi in una sorta di spartiacque tra la capacità dell’Italia di reggere al “lockdown” e il suo venir meno. A galla stanno salendo tutte le problematiche ignorate per anni, spesso decenni, dai governi.

L’emergenza Coronavirus sta mettendo a nudo tutto quello che non funziona dell’Italia e che non abbiamo voluto o saputo affrontare nemmeno dopo la crisi del 2008/’09. Ed è tanto.

Emergenza Coronavirus, il fattore tempo sarà determinante per capire cosa accadrà

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