La notizia sta facendo il giro del mondo da giorni ed è di quelle che divide il web. Tale Elle Darby, ragazza inglese di 22 anni e attiva in rete come influencer, aveva preso con il suo fidanzato una camera in un albergo di lusso a Dublino, in Irlanda. Al momento di pagare il conto, anziché tirare fuori il contante o la carta di credito, ha pensato bene di proporre al titolare un accordo: niente soldi, ma recensioni positive. Forte degli 87.000 iscritti al suo canale YouTube e dei 76.000 followers su Instagram, la giovane donna pensava così di trascorrere due giorni “a scrocco”.

Senonché, dal proprietario si è sentita rispondere: “e secondo Lei, cosa dirò ai miei dipendenti e ai fornitori di servizi, che li pagherò in like?” Apriti, cielo! L’influencer ha pagato, ma tornando a casa ha raccontato sul web la sua “terribile” esperienza, attaccando l’albergo con tanto di nome, spingendo il suo proprietario, andato su tutte le furie, a dichiarare che non accoglierà più un solo blogger tra le sue camere. I commenti al video della Darby sono stati disattivati, forse perché la stessa si era resa conto di quanti insulti le sarebbero arrivati. Nel caso migliore, infatti, avrebbe recensito l’albergo positivamente, ma solo in conseguenza di un baratto, non per convinzione, tradendo la fiducia dei suoi utenti. (Leggi anche: Perché la webtax è un pessimo affare per gli utenti europei)

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che il problema risulti serio. Nel caso specifico, la ragazza inglese ha evidentemente sopravvalutato la propria importanza, perché circa 160.000 seguaci su internet, che pure non sono pochi, non ne fanno certo una star del web capace di influenzare consumi e stili di vita. Ma la questione che la storia sta ponendo all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale è reale: il web è diventato una dittatura?

Non è esagerato definire così l’atteggiamento di chi pensa di mettere sotto scacco gli altri, sfruttando la notorietà di cui gode in rete.

Certo, si dirà che è sempre stato così, magari con altri mezzi. Un potente che voglia fare il furbo con un albergatore potrebbe “ricattare” il titolare, minacciandolo di tagliarlo fuori da un certo giro di cui è parte. Tuttavia, il web ha amplificato questo potere di ricatto, offrendo una piazza globale e pubblica, spesso a beneficio di personaggi spuntati come funghi dal nulla e dalle qualità professionali, oltre che umane, a dir poco discutibili.

Il dubbio mondo delle recensioni TripAdvisor

A conferma che non stiamo parlando di un caso isolato, vi sono le numerosissime polemiche nel mondo su TripAdvisor. Il sito offre l’opportunità a tutti – clienti di un ristorante, chi alloggia in un albergo, turisti in una città, semplici acquirenti in un negozio, etc. – di lasciare una recensione per permettere agli utenti di consultare i giudizi su un particolare servizio offerto da chicchessia, in modo da evitarlo, se esso appare non conforme ai propri gusti. Del resto, molti acquisti effettuati nell’arco della nostra vita avvengono a scatola chiusa: sai se un medico è bravo dopo che ci sei andato a farti curare, così come se un albergo è pulito e confortevole dopo che ci hai alloggiato. Si chiamano “experience goods”, perché trattasi di merci o servizi, su cui il giudizio può essere espresso sulla base dell’esperienza.

Ora, il mondo delle recensioni è diventato un business di alto livello con TripAdvisor, che grazie ai 570 milioni di giudizi già espressi dagli utenti e 270 nuovi al minuto, fattura ormai qualcosa come poco meno di 1,5 miliardi di dollari all’anno. E quello che scrivono gli utenti su un albergo, un ristorante, una gelateria, un bar, una metà turistica, etc., sta diventando così importante per il recensito, che nei fatti si è creato persino un mercato parallelo delle recensioni positive “fake”, teso a contrastare gli effetti nefasti derivanti dalla cattiva nomea per le recensioni negative dei clienti.

Anziché dedicarsi a migliorare il servizio, molti albergatori e ristoratori, in particolare, vengono distolti a perdere tempo nel seguire i giudizi online dei clienti per ribattere all’occorrenza con una propria versione, salvaguardando il proprio nome. A Bologna, l’evidente esasperazione di un albergatore è arrivata al punto che sulla porta dell’ascensore ha posto un cartello con cui avverte i clienti che li multerà nel caso di recensione negativa con TripAdvisor. Altri alberghi hanno adottato misure meno radicali, chiedendo ai clienti, nel caso di insoddisfazione per il servizio offerto, di chiarire prima la questione faccia a faccia, anziché rifugiarsi nel web. (Leggi anche: I controlli possono scattare dalle recensioni negative su TripAdvisor)

Come affossare la concorrenza con campagne fake

Una cosa è certa: il business delle recensioni sta creando scompiglio e se è pur vero che parte del mondo recensito semplicemente non accetti di venire giudicato in rete, d’altra parte è provato che spesso abbia ragione, ovvero che molti dei giudizi negativi espressi siano infondati o persino “pilotati”. Già, perché si è scoperto che realtà concorrenti arrivino a comprare un pacchetto di 2-300 recensioni negative per affossare un’attività o altrettante positive per promuovere la propria. Vuoi che il ristorante davanti al tuo chiuda o abbia meno clienti? Screditalo, fai scrivere a un centinaio di persone fasulle che ci hanno mangiato male, che è sporco, che si paga molto, e voilà, il gioco è fatto. Certo, chi vive sul posto capisce quando alcune recensioni siano manipolate, ma per un turista che abita in capo al mondo non vi è altro modo di sapere se scegliere di mangiare in A piuttosto che in B, se non guardando i giudizi di chi ci ha mangiato prima.

Non è solo manipolazione. Le cattive recensioni possono essere frutto di sensazioni e gusti personali, ma ingiustificate.

Statisticamente, per fortuna, se una piccola percentuale lamenta disservizi o un’offerta sgradita, mentre una preponderante maggioranza approva, la prima non incide sull’appeal dell’attività recensita. Tuttavia, è vero anche che il web, anche per via dell’anonimato garantito ai recensori, rischia di fare emergere solo verità parziali, giudizi sommari, che in un mondo di relazioni solamente fisiche, faccia a faccia, magari non sarebbero mai venuti fuori. Rifugiarsi dietro un PC o uno smartphone per parlare male di un titolare, magari solo perché antipatico, è diventato uno sport popolare in tutto il mondo, ma che sta creando problemi per nulla secondari al mondo dei servizi, in particolare, mortificando in molti casi il lavoro di chi vi sta dietro.

FIPE-Confcommercio, ad esempio, ha annunciato di avere attivato con TripAdvisor uno sportello “SOS Recensioni”, che potrà essere consultato, sollecitando il personale a Londra, qualora il servizio clienti della società non abbia risposto sufficientemente alle problematiche lamentate dai suoi affiliati. Una sorta di monitoraggio dei recensori per capire se i giudizi espressi siano stati frutto di campagne di discredito o, comunque, infondati. E che il problema non sia di poco conto lo segnala anche il quotidiano australiano Herald Sun, che qualche giorno fa ha pubblicato una lunga lista di alcune delle recensioni più stupide che ha trovato in giro per il web. Ve ne proponiamo alcune: “Avevate detto che la città si trovasse vicino a un vulcano, ma non c’era la lava, per cui sono sicuro fosse semplicemente una montagna”, “Gli animali allo zoo sembravano molto tristi e hanno fatto piangere i nostri figli. Non potrebbero addestrarli per sorridere?”, “Le strade (in Spagna) non avevano insegne in inglese, non capisco come qualcuno ci possa girare”, “Sono stato in crociera nel Mediterraneo, ma il mare era così forte che non ho potuto dormire”, “Io e il mio ragazzo avevamo chiesto una camera doppia, ma ci avete dato una matrimoniale e ora sono incinta”. (Leggi anche: Influencer marketing: ruolo nel web marketing in chiave social)

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