Oggi, il Bloomberg Commodity Index segna 189 punti. Nell’aprile del 2011, si attestava oltre i 350 punti. E’ il segno tangibile del crollo dei prezzi delle materie prime, come oro, ferro, rame e petrolio, scesi ormai ai minimi degli ultimi 13 anni. Variazioni così forti comportano una redistribuzione della ricchezza tra i paesi produttori e quelli consumatori. Inevitabile l’impatto sull’America Latina, ricca di oro, rame, petrolio e altre commodities. Non esiste, in effetti, una sola valuta di quest’area del pianeta che stia registrando un andamento positivo sul mercato dei cambi.

Il peso argentino è gravato dalle incognite politiche e dalla cattiva gestione dell’economia da parte dell’amministrazione Kirchner, oltre che dal secondo default in appena 12 anni; il real brasiliano ha perso quest’anno il 19% e ieri l’1,9%, in conseguenza della cattiva reputazione del governo del presidente Dilma Rousseff, che segnalerebbe agli investitori di volere tradire le promesse di risanamento dei conti pubblici, pressata da un’opinione pubblica inferocita contro di lei per l’enorme scandalo di corruzione relativo al caso Petrobras e la recessione dell’economia; il Messico vede scivolare il peso al minimo storico contro il dollaro, mentre anche l’efficiente Cile ha il cambio più debole degli ultimi 6 anni, sia in conseguenza del crollo del prezzo del rame, che costituisce la metà delle sue esportazioni, sia pure dello scandalo sulla corruzione che ha colpito il presidente Michelle Bachelet.   APPROFONDISCI – Argentina, i dubbi sulle riserve e lo shock sul peso: il cambio reale col dollaro a 21?   Dulcis in fundo: il Venezuela. La crisi del bolivar è qui devastante. Nonostante il governo di Nicolas Maduro si ostini a tenere un cambio fisso ufficiale di 6,3 contro il dollaro, al mercato nero si è arrivati oggi a 650. In sostanza, il cambio reale sarebbe oltre 100 volte più debole di quello ufficiale o se vogliamo, il bolivar vale meno dell’1% di quanto il governo faccia credere.
Nel caso del Venezuela è un mix di fattori ad avere scatenato la potente crisi valutaria: controlli sui capitali, prezzi amministrati, cambio fisso, crollo del prezzo del petrolio (che rappresenta il 96-97% delle esportazioni del paese), altissimo deficit pubblico (al 16% nel 2014) e monetizzazione della spesa pubblica, tanto da avere scatenato la più alta inflazione al mondo, stimata tra più del 100% e oltre il 600%.   APPROFONDISCI – Il Venezuela ritira altri 1,5 miliardi dall’FMI e il bolivar crolla all’1% del cambio ufficiale   Infine, il denominatore comune della crisi del cambio per tutta l’America Latina sta nella previsione di un imminente rialzo dei tassi USA, che tende a rafforzare il dollaro e fare scivolare il prezzo delle materie prime, espresso nella divisa americana. E così, quest’anno l’intera area crescerà di appena lo 0,1%, quando il pil cresceva 5 anni fa del 6,6%. Spaventosa la recessione in Venezuela, stimata in un calo del pil di almeno il 7%, così come arretra l’economia argentina. Non ultimo, il rallentamento dell’economia cinese starebbe facendo il resto. Pechino è diventato il primo partner commerciale del Sud America, scalzando gli USA.   APPROFONDISCI – L’Australia affronta la crisi delle materie prime, ma l’economia è solida