Il 2022 non era iniziato per nulla bene per i Bitcoin e le “criptovalute” in generale. La quotazione internazionale a fine gennaio era scivolata a 35.000 dollari dagli oltre 47.000 dollari dei livelli di apertura dell’anno. E ancora fino a un paio di settimane fa, il quadro appariva molto debole. Invece, questa settimana è arrivata la svolta: prezzi fino a più di 44.000 dollari nella seduta di martedì. Ancora ieri, il bilancio da inizio anno era positivo di quasi il 20%, pur ancora nettamente sotto i massimi record di 69.000 dollari toccati a novembre.

Cos’è successo? La guerra tra Russia e Ucraina ha ridato smalto a un asset in sofferenza ormai da mesi. Di solito, la correlazione con il mercato azionario si mostra positiva, ragione per cui Bitcoin avrebbe dovuto ripiegare insieme alle borse mondiali tra le tensioni geopolitiche. Tuttavia, settimana scorsa l’Occidente ha comminato sanzioni finanziarie durissime contro la Russia: espulsione di sette sue banche dal sistema di pagamenti internazionale noto come SWIFT, “congelamento” delle riserve valutarie russe, dei patrimoni degli oligarchi all’estero, ecc. Nel frattempo, colossi mondiali come Visa e MasterCard hanno bloccato il servizio dei clienti russi.

Dunque, in Russia si è scatenata una corsa ai Bitcoin per sfuggire sia al crescente isolamento finanziario del paese, sia per reagire al tracollo del rublo. Il tasso di cambio contro il dollaro è arrivato a collassare di quasi il 30% da venerdì scorso, per cui molti risparmiatori russi stanno vedendo le “criptovalute” come un bene in cui rifugiarsi per scampare alle tensioni internazionali. Tra l’altro, la principale piattaforma exchange Binance ha annunciato che non chiuderà al mercato russo, sostenendo che proprio in situazioni come queste le crypto dimostrerebbero di essere un’alternativa sicura alla finanza tradizionale.

Bitcoin, possibile svolta con la guerra russo-ucraina

La domanda in Russia è stata così elevata in questi giorni, che la quotazione di Bitcoin martedì è schizzata fino a un massimo di 64.000 dollari, circa il 50% in più rispetto ai livelli medi di scambio nel resto del mondo.

Difficile sapere per il momento se gli oligarchi, colpiti direttamente dalle sanzioni, siano tra i nuovi investitori in crypto. Sarebbe obiettivamente un modo per sfuggire alla tracciabilità dei propri averi finanziari in patria e, soprattutto, all’estero. Tuttavia, difficile credere che singoli russi stiano investendovi cifre imponenti; molto più probabile che si tratti di un fenomeno diffuso, vale a dire di investimenti retail unitariamente di modica entità nel tentativo disperato di mettere in salvo il potere d’acquisto in una congiuntura così spaventosamente negativa per Mosca.

Peraltro, in previsione probabilmente dello sfascio finanziario in corso, il presidente Vladimir Putin aveva mesi fa aperto al riconoscimento formale di Bitcoin, adombrando persino l’ipotesi di adottarlo in futuro per regolare i pagamenti del petrolio in alternativa al dollaro. Viceversa, il governatore della Banca di Russia, Elvira Nabiullina, ne aveva chiesto la messa al bando, temendone la destabilizzazione finanziaria. Alla fine, ha prevalso la linea del governo, pur con le cautele del caso. Che Putin stesso voglia usare Bitcoin per sottrarsi almeno in parte alla morsa delle sanzioni occidentali?

Di certo c’è che mai finora un’economia dalle dimensioni della Russia era corsa ai Bitcoin per scrollarsi di dosso le tensioni finanziarie che la stanno travolgendo. Si tratta di un esperimento rilevantissimo per testare la capacità delle crypto di offrire un’alternativa credibile al sistema finanziario tradizionale. E in questi mesi, un’altra economia medio-grande come la Turchia sta assistendo alla stessa corsa contro il carovita e il crollo della lira, parzialmente placatasi apparentemente dopo che il governo ha presentato a dicembre un piano per preservare il potere d’acquisto dei risparmi in valuta locale. Il 2022 per i Bitcoin può rivelarsi l’anno della svolta.

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