Mentre soffiano i venti di guerra nell’Est Europa, la Russia è dilaniata al suo interno su una questione apparentemente molto meno minaccioso: i Bitcoin. A gennaio, il governatore della banca centrale, Elvira Nabiullina, definì le “criptovalute” una minaccia al sistema finanziaria, chiedendone la messa al bando. Tale dichiarazione contribuì a farne crollare le quotazioni. Tuttavia, nelle stesse settimane la posizione del governo di Mosca è stata del tutto differente, ad iniziare dal presidente Vladimir Putin, il quale alla fine del 2021 aveva aperto persino alla possibilità di utilizzare i Bitcoin per regolare gli scambi commerciali.

Allora, precisò che non sarebbe ancora arrivato il momento di farlo con il petrolio, comunque.

Nei giorni scorsi, Nabiullina e il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, si sono incontrati per decidere una posizione comune. Alla fine, l’hanno trovata solamente di facciata: niente messa al bando delle “criptovalute”, ma regolamentazione. In realtà, il governatore ha preso atto che al governo vogliano sfruttare il vantaggio competitivo che la Russia avrebbe sul “mining” dei Bitcoin, in particolare.

Il paese è un produttore ed esportatore di energia. Molti “miners” negli ultimi anni hanno portato avanti la loro attività in Siberia, approfittando dell’elevata offerta di energia elettrica a basso costo. Del resto, è lì che si estrae il petrolio venduto al resto del mondo. Putin sa che i Bitcoin possono anche essere strumento di malaffare, ma allo stesso tempo fonte di opportunità di business. E un’economia in rotta di collisione totale con l’Occidente non può farsi sfuggire nuove occasioni d’affari.

Bitcoin arma russa contro l’Occidente

Ci sarebbe di più. In caso di invasione dell’Ucraina, il Parlamento europeo ha minacciato ritorsioni durissime contro Mosca, tra cui l’espulsione dallo SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), il sistema di gestione delle transazioni finanziarie internazionali. L’ipotesi colpirebbe nel profondo l’economia russa, dato che lo SWIFT è nei fatti l’unica modalità utilizzata nel mondo per regolare gli scambi transnazionali.

Tuttavia, la stessa Europa rischierebbe grosso, perché espellere un membro così influente per l’economia mondiale finirebbe per indebolire il nostro sistema finanziario.

Ad ogni modo, Putin sa che a una minaccia si reagisce con una contro-minaccia altrettanto temibile. Se la Russia riconoscesse formalmente Bitcoin, affibbierebbe alle crypto lo status di asset alternativi al dollaro, mettendone a repentaglio il monopolio di valuta di riserva mondiale. Peraltro, la Cina sta cercando di sganciarsi dallo SWIFT per costruire un proprio sistema fondato sullo yuan. Non è un caso che la minaccia di espulsione non abbia fatto granché breccia tra i politici occidentali, i quali ne avvertono i rischi.

Intanto, la banca centrale russa sta implementando l’emissione di un suo rublo digitale, così come tutte le altre banche centrali con le rispettive valute. Putin accarezza l’idea, invece, di fare della Russia un “hub” per Bitcoin, attirando capitali dal resto del mondo e divenendo il nuovo centro d’affari per un business apparentemente destinato a impensierire la finanza tradizionale. Lo scenario bellico starebbe semplicemente accelerando l’iter. E nei giorni scorsi il Parlamento ucraino ha riconosciuto ufficialmente Bitcoin, confermando la sensazione che i teatri di tensioni geopolitiche vogliano fare di tutto per mettere le mani sui 2.000 miliardi di dollari di capitalizzazione del mercato delle crypto.

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