Sabato sera, come annunciato il giorno precedente, l’Unione Europea ha comminato nuove sanzioni contro la Russia in risposta all’aggressione di Mosca ai danni dell’Ucraina. Due sono state, in particolare, le novità dirompenti:

Il primo provvedimento era molto atteso, sebbene sia stato varato in modalità soft: solo le banche russe già sotto embargo e non collegate ai pagamenti per forniture di petrolio e gas sono state espulse dal sistema internazionale dei pagamenti finanziari con sede nel Belgio.

Un modo per i governi europei di punire il Cremlino senza accollarsi costi insostenibili. Germania e Italia avevano guidato il fronte dei “prudenti”, per non dire contrari alla misura. Solo il loro via libera, seguito da quello ungherese, ha avallato l’espulsione dallo SWIFT.

A tale proposito, è sorto un giallo dalle conseguenze geopolitiche dirompenti. Poco prima che i paesi dell’Unione Europea si accordassero sulle nuove sanzioni alla Russia, su Bloomberg usciva la notizia esplosiva, secondo la quale il governo Draghi avrebbe trattato con Mosca fino al 16 febbraio per stringere alleanze industriali a favore di Ansaldo Energia ed ENEL. Che la tempistica sospetta sia stata un modo per fare pressione su Palazzo Chigi e indurlo a dare l’ok alle ritorsioni anti-russe? Di certo c’è che la credibilità del premier Mario Draghi ne esce molto appannata nei consessi internazionali. E’ passato (volutamente?) il messaggio che egli abbia trattato con Vladimir Putin mentre questi programmava l’invasione dell’Ucraina.

Sanzioni Russia, l’arma nucleare delle riserve

Ma la vera sanzione “nucleare” contro la Russia è l’altra. Il “congelamento” delle riserve valutarie è qualcosa di veramente senza precedenti per una economia medio-grande. La Russia disponeva a fine 2021 di 630 miliardi di dollari di riserve, un valore giudicato più che sufficiente nel medio termine per fronteggiare eventuali criticità finanziarie.

Con questa misura, Europa e USA puntano a impedire alla Banca di Russia di intervenire a sostegno del rublo. Da oggi, in pratica, sarebbe possibile uno scenario di collasso del cambio russo senza alcuna possibilità di porvi rimedio.

In assenza di valuta straniera, poi, la Russia non sarebbe più in grado di intrattenere relazioni commerciali e finanziarie con il resto del mondo. Tecnicamente, il suddetto “congelamento” dovrebbe (non esiste ancora alcuna spiegazione ufficiale delle modalità) avvenire principalmente in due modi: impedendo a Mosca l’accesso agli asset detenuti all’estero, tra cui negli USA, in Germania, Austria e Giappone; vietando alle entità e ai cittadini americani ed europei di intrattenere relazioni con la Banca di Russia.

Le possibili scappatoie immediate di Mosca

Buona parte dei 630 miliardi di dollari sono custoditi, come dicevamo, all’estero. Così com’è già avvenuto ai danni del Venezuela di Nicolas Maduro di recente – ma si pensi anche all’Afghanistan dei talebani tornati al potere – i russi non sarebbero nelle disponibilità del proprio stesso denaro. Tant’è che da qualche giorno già le erogazioni di contante ai bancomat risultano limitate. Le banche russe avrebbero iniziato a imporre autonomamente controlli sui capitali per evitare di restare a corto di rubli. Un’opzione che adesso lo stesso governo valuterebbe per frenare i deflussi dei capitali.

C’è da dire che oltre il 14% delle riserve valutarie russe lo abbia in custodia il sistema cinese. All’occorrenza, Pechino potrebbe rilasciare almeno parte della liquidità necessaria per evitare il collasso finanziario di Mosca. Tuttavia, le stesse banche cinesi si stanno guardando bene dall’aiutare palesemente le controparti russe, temendo sanzioni secondarie da parte dell’Occidente. A quel punto, l’unica soluzione possibile rimasta per Mosca sarebbe di vendere sul mercato parte delle 2.299 tonnellate di oro possedute.

Il rischio di una terza guerra mondiale

Un atto del genere, tuttavia, potrebbe essere considerato da Putin a tutti gli effetti “di guerra”. Se così fosse, si sentirebbe autorizzato persino ad attaccare i membri della NATO. Il fattore tempo sarà determinante. Se dai colloqui avviati ieri con Kiev non dovesse sortire il risultato sperato – alias, la resa di Volodymyr Zelensky – la disperata condizione finanziaria in cui precipiterebbe la Russia lo indurrebbe a far scoppiare una terza guerra mondiale. Non stiamo esagerando. E’ questo il rischio che stiamo correndo in queste ore.

D’altra parte, misure così estreme portano con sé qualche effetto collaterale anche per l’economia europea, in particolare. La Russia non è il Venezuela. Se anche i suoi denari possono essere bloccati sui conti occidentali, molti stati asiatici, africani e sudamericani non proprio in linea con la geopolitica di Washington e Bruxelles potrebbero iniziare a valutare l’opportunità di lasciare ancora custodite le proprie riserve negli USA e in Europa. Finora, lo hanno fatto per ragioni di sicurezza, spesso materiale, ovvero per avere la garanzia di non perdere oro e liquidità nel caso di attacchi bellici e per segnalare la propria affidabilità ai mercati finanziari. Ma se alla minima crisi diplomatica rischiano di perdere la disponibilità delle riserve, qualcuno potrebbe ricredersi e richiamare i capitali in patria.

Altro aspetto da non sottovalutare è la vera arma di ricatto in mani russe: l’energia. Se Putin dovesse nelle prossime ore assaggiare un crollo finanziario ai danni della sua economia, per tutta reazione spegnerebbe il gas all’Europa. Resteremmo al freddo in pochi giorni e, soprattutto, saremmo costretti a pagare carissimo il carburante e la luce. Una situazione così allarmante, che il governo italiano avrebbe simulato uno scenario estremo caratterizzato dal razionamento energetico. Insomma, se Mosca piangesse, noi europei non sorrideremmo. Dovremmo tutti augurarci che il negoziato in corso tra Russia e Ucraina vada a buon fine; che la guerra scelleratamente iniziata da Putin cessi di mietere vittime innocenti e che le tensioni non esplodano fino al punto di non ritorno.

Se così non fosse, ci aspetterebbe una terza guerra mondiale. A quel punto, sarebbe secondario dirvi che assaggeremmo un combinato tra grave crisi economica e alta inflazione.

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