Difesa dell’ambiente e lotta ai cambiamenti climatici sono al centro della conferenza dell’ONU a Glasgow, Scozia, che prende il nome di Cop26. Ma ci sono due grandi assenti all’appuntamento: il presidente cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin. Proprio la Cina ha gettato un secchio di acqua gelida al vertice con la notizia dell’aumento della produzione di carbone. Le autorità hanno confermato questo martedì che alla metà di ottobre, risultava cresciuta di 1,1 milioni di tonnellate al giorno rispetto alla fine di settembre, a oltre 11,5 milioni.

E alla fine di ottobre risultava già salita al record di 11,72 milioni di tonnellate.

Pechino ha riattivato miniere dismesse, allentato le normative ambientali e di sicurezza e velocizzato le autorizzazioni per aumentare la produzione di carbone, al fine di combattere la crisi energetica in corso da mesi. Secondo un report della Commonwealth Bank of Australia, pare che ci starebbe riuscendo, dato che le province cinesi a corto di elettricità sarebbero diminuite da 18 a 2.

Il carbone è una materia prima rinomatamente inquinante. In Cina, incide per il 60% della produzione di energia. Quest’ultima è complessivamente generata per l’87% da combustibili fossili. Anziché accelerare il cammino verso il disinquinamento, la Cina ha fissato al 2060 il termine entro cui raggiungere la neutralità carbonica. Si tratta di un decennio più in là rispetto alle altre grandi economie.

Più carbone contro la crisi energetica

Che la produzione di carbone stia salendo velocemente lo confermerebbe anche il crollo dei prezzi sul mercato domestico: dal record storico di 1.982 yuan del 19 ottobre scorso si è scesi sotto 980 yuan. Peraltro, la crisi energetica aveva costretto il governo a imporre lo stop o il taglio alle produzioni in vari settori, tant’è che le aspettative di crescita per quest’anno sono state riviste al ribasso dagli analisti. Le autorità hanno altresì liberalizzato i prezzi dell’energia elettrica per la vendita ai clienti non domestici, così da incentivare le compagnie a produrre al massimo della capacità dei loro impianti.

La Cina impatta per il 30% dell’inquinamento mondiale. Il presidente Xi, tuttavia, continua a pretendere un trattamento di favore riguardo alle politiche ambientali, sostenendo che la sua economia si troverebbe ancora in uno stadio di sviluppo particolare e addossando la responsabilità dell’inquinamento alle economie ricche, sia sul piano storico, sia (a suo dire) con riferimento agli scarsi sforzi profusi dopo l’Accordo di Parigi nel 2015. Ritiene che il ritiro dell’America sotto Donald Trump sia stata la principale causa dei pochi risultati globali raggiunti.

Ma la decisione di puntare ancora di più sul carbone suona come una beffa per i partecipanti al Cop26. Tanto per citare un dato, l’Europa incide per meno del 10% sull’inquinamento mondiale. E’ evidente che non sarà tagliando ulteriormente le proprie emissioni di CO2 che l’ambiente sarà salvo. Senza gli sforzi di un grande inquinatore come la Cina, ogni tentativo di frenare i cambiamenti climatici può definirsi vano. D’altra parte, se l’Occidente consuma i beni, la cui produzione è stata delocalizzata dalle multinazionali in Cina spesso proprio per aggirare le normative ambientali, è inutile e ipocrita lamentare la mancata partecipazione di Pechino agli accordi internazionali.

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