Si chiama Cop26 ed è la conferenza ONU per combattere i cambiamenti climatici che si tiene a Glasgow, in Scozia, fino al prossimo 12 novembre. Il padrone di casa, il premier Boris Johnson, ha evocato la figura di James Bond, “figlio di questa città”, per fare presente come il pianeta abbia bisogno di lottare per “scongiurare la bomba” del surriscaldamento terrestre. In un videomessaggio, Sua Maestà la Regina Elisabetta II ha dichiarato che non è più tempo di parole, bensì di azioni. Un leitmotiv in linea con le critiche espresse dalla giovane attivista ambientalista Greta Thunberg, che poche settimane fa aveva definito il solito “bla bla bla” quello dei politici a proposito del clima.

Di cambiamenti climatici si era discusso anche al G20 di Roma, conclusosi domenica scorsa. Ma i risultati sono stati a dir poco insoddisfacenti. I venti grandi della Terra hanno ribadito gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi nel 2015, non aggiungendovene di nuovi. Ribadito l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature a 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali. Nel documento in lingua italiana esitato al termine del vertice, i leader hanno mostrato consapevolezza che le conseguenze di un surriscaldamento a +1,5 gradi sarebbero nettamente inferiori di quelle che si avrebbero con +2 gradi.

Cop 26, distanze tra ricchi ed emergenti

Ma il problema resta lo stesso. Se l’Occidente sembra realmente più sensibile al tema, tant’è che le sue emissioni di CO2 sono nettamente diminuite nell’ultimo decennio, non lo stesso dicasi di giganti come Cina e Russia, che hanno disertato il G20 e diserteranno anche il Cop26 ai massimi livelli. Lo stesso farà il presidente brasiliano Jair Bolsonaro. I presidenti Xi Jinping e Vladimir Putin si limiteranno a inviare rispettive rappresentanze politiche minori. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha avuto parole dure contro gli USA, notando come le loro emissioni storiche siano state ad oggi otto volte maggiori di quelle della Cina.

La Cina incide per il 28% delle emissioni di CO2 nel mondo, a fronte di oltre il 18% della popolazione che vi risiede. Gli USA seguono con il 14,5%, ma vi vive appena il 4,3% della popolazione. I numeri di per sé non danno ragione assoluta a nessuno. Se guardiamo all’inquinamento in una prospettiva storica, non vi è dubbio che lo abbiano provocato maggiormente gli attuali paesi ricchi. Troppo comodo, sostengono gli emergenti, pretendere che adesso i costi del disinquinamento ricadano sugli altri. E non è l’unica obiezione razionale. L’inquinamento non dipende solo dai livelli di produzione, bensì anche da cosa si produce.

E qui arriva il bello. Possiamo pretendere che economia come la Cina inquinino di meno senza modificare le nostre abitudini di consumo? Già, perché in Cina sono delocalizzate quasi tutte le multinazionali con sedi nel resto del mondo. In un certo senso, l’Occidente ha subappaltato l’inquinamento all’Asia tramite le delocalizzazioni. Abbiamo guadagnato qualche decennio di tempo sperando di allontanare il problema dalle nostre vicinanze, ma adesso ce lo ritroviamo sbattuto in faccia dalla realtà. E che dire degli stati produttori di petrolio? E’ evidente che la Russia inquini pro-capite più dell’Europa, ma anche perché estrae il greggio e il gas con cui ci rifornisce di energia.

Cambiamenti climatici, le azioni adottate al G20 di Roma

Soluzioni semplici non ne esistono ed è inutile illuderci che al Cop26 saranno adottate decisioni definitivamente efficaci. Anche solo immaginare che siano le economie attualmente più ricche a sobbarcarsi gran parte dei costi del disinquinamento implica legarsi le mani rispetto a una possibile prospettiva di relocalizzazione produttiva dopo la pandemia.

Anche per questo, al G20 di Roma è stato trovato un accordo su 100 miliardi di dollari di finanziamenti annuali a favore dei paesi che contrastino con azioni concrete i cambiamenti climatici.

Di questi, 19,2 miliardi al 2030 saranno destinati alla deforestazione. A tale proposito, i grandi leader della Terra puntano a piantare mille miliardi di alberi. Problemi di risorse, spiega il nostro premier Mario Draghi, non ce ne sono. Basterà aumentare ulteriormente i Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario Internazionale, già aumentati complessivamente di 650 miliardi di dollari quest’anno per sostenere le economie più deboli nella lotta contro la pandemia. Come dire che, quando servono, i soldi si trovano e magari si “fabbricano” dal nulla.

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