Mancavano le alluvioni nella provincia di Shanxi ad aggravare la già pesante crisi energetica in Cina. Il maltempo ha costretto alla chiusura di 4 miniere di carbone nell’area, il cui prezzo è esploso ieri al nuovo record storico di 1.640 yuan per tonnellata, circa 220 euro. Da inizio anno, la quotazione si è triplicata. Gli impianti colpiti producono 4,8 milioni di tonnellate all’anno, ma in tutto risultano coinvolti dalle alluvioni ben 60 miniere.

La Cina è da settimane in preda a un vero dramma. L’energia elettrica è diventata insufficiente a tenere testa alla domanda, tant’è che il governo ha liberalizzato i prezzi praticati ai clienti commerciali, al contempo ordinando maggiori estrazioni di carbone.

Le importazioni di quest’ultimo a settembre sono esplose del 76% su base annua a 32,88 milioni di tonnellate, il quinto dato più alto di sempre. Ma ciò non sta bastando a ridurre la domanda di energia elettrica, cresciuta di quasi il 13% nei primi nove mesi dell’anno, pur in rallentamento a settembre (+6,4%).

Rincara non solo il carbone, boom di acciaio e petrolio

Nel tentativo di limitare la domanda, Pechino ha altresì ordinato la riduzione delle produzioni nelle industria con alti consumi energetici. Tra queste comprare la siderurgia, le cui quantità di acciaio per l’inverno saranno tagliate del 30% su espressa richiesta delle autorità. Non a caso, stanno impennandosi anche i prezzi, arrivati a 5.900 yuan (792 euro) per tonnellata, vicino ai massimi storici toccati a maggio e a +200% quest’anno. Non un problema di niente, dato che la Cina produce quasi la metà dell’acciaio di tutto il mondo.

Per quanto la liberalizzazione dei prezzi energetici riguarderebbe solamente alcune industrie, gli effetti rischiano di riversarsi su tutta l’economia cinese e, di lì, a quella mondiale. Gli aggravi di costi sostenuti saranno trasferiti alle industrie clienti e da questi ai consumatori finali, i quali sono per grossa parte occidentali.

In pratica, la crisi energetica la pagheremo noi italiani, tedeschi, francesi, americani, etc. A questo si aggiunge la carenza di materie prime, in parte dipendente anche dai tagli alla produzione imposti da Pechino per limitare la domanda di energia.

Il petrolio è salito nel frattempo ai massimi da sette anni, sopra 80 dollari al barile. Il prezzo della benzina ha sfondato la media di 1,70 euro al litro. I rincari stanno riguardando la generalità dei beni di consumo e, in particolare, l’energia elettrica e il gas. Sui consumatori italiani grava una stangata in corso per le bollette fino al 30%. Le notizie che stanno arrivando dalla Cina non appaiono confortanti, perché suggeriscono che la crisi energetica in Europa si sta facendo ancora più drammatica di quanto temuto. E, soprattutto, i rincari di molte materie prime rischiano di spegnere o almeno rallentare la ripresa economica in atto, colpendo i consumi e distruggendo posti di lavoro.

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