Tutto un po’ come da attese al termine dell’ultimo board dell’anno della BCE, ieri. L’istituto ha lasciato invariati i tassi di riferimento e ha potenziato di altri 500 miliardi di euro gli acquisti di assets condotti con il PEPP, la cui durata è stata allungata di 9 mesi al 31 marzo 2022. Inoltre, i termini più favorevoli per le aste T-Ltro III sono stati estesi di 12 mesi fino al 30 giugno 2022, mentre tre nuove aste saranno tenute tra giugno e dicembre del 2021. E le banche potranno richiedere fino al 55%, non più il 50%, dei prestiti eleggibili a bilancio.

Infine, quattro nuove aste Peltro si terranno nel corso del prossimo anno.

Insomma, ulteriore liquidità a fiumi. Eppure, la reazione dei mercati non è stata delle migliori. Mentre il governatore Christine Lagarde parlava in conferenza stampa, l’indice FTSE MIB a Milano perdeva due terzi di punto percentuale, il DAX 30 a Francoforte oltre mezzo punto, mentre i rendimenti sovrani nella periferia risalivano leggermente lungo la curva delle scadenze e il cambio euro-dollaro arriva ad apprezzarsi dello 0,40% a un massimo di 1,2132. Si direbbe che gli investitori siano rimasti contrariati. Da cosa? L’unico elemento tra le misure di politica monetaria che probabilmente è stato disatteso sarebbe il mancato taglio dei tassi overnight. Nelle scorse settimane, si speculava su un loro abbassamento al -0,60%. Obiettivamente, questa spiegazione convince poco, specie a fronte delle imponenti misure adottate ieri.

E allora, dovremmo concentrarci forse sulle nuove proiezioni macro, che per la prima volta includono anche il 2023. La BCE ha rivisto al rialzo il PIL di quest’anno al -7,3% dal -8% atteso a settembre. Per il 2021, però, la crescita sarebbe meno robusta, cioè del 3,9% anziché del 5%. E nel 2022, segnerebbe +4,2% contro il precedente +3,2%. Infine, relativamente robusta anche la crescita economica nel 2023, del 2,1%. Quanto all’inflazione, stime in lieve calo per quest’anno allo 0,2% (da 0,3%), invariate all’1% per l’anno prossimo, in calo anche per il 2022 all’1,1% (da 1,3%) e in lieve accelerazione all’1,4% nel 2023.

La BCE segnala, dunque, che non si attende di centrare il suo target d’inflazione “vicino, ma di poco inferiore al 2%” fino ai prossimi 3 anni. Tenuto conto che già lo manca dal 2013, saranno 10 anni di obiettivo non raggiunto. Non certo bene per la credibilità di una banca centrale.

La BCE di Lagarde è nella bufera, un giro di chiamate minaccia la reputazione

Mercati timorosi sugli stimoli futuri

Ma torniamo alla reazione dei mercati. Come la si spiega? A conti fatti, con le nuove stime macro la BCE si attende che l’Eurozona torni ai livelli di PIL pre-Covid entro la fine del 2022. Tra due anni, infatti, l’economia nell’area si sarà portata a circa lo 0,36% sopra il PIL del 2019, mentre stando alle proiezioni di settembre, per allora sarebbe rimasta sotto dello 0,3%. Parliamo di piccole variazioni, che nelle previsioni a medio-lungo termine lasciano il tempo che trovano. Tuttavia, i mercati scrutano sempre l’umore del policy maker e, a quanto pare, ne hanno dedotto che a Francoforte siano diventati più ottimisti rispetto a qualche mese fa circa la capacità dell’area di uscire dalla crisi. E più il pessimismo svanisce, meno duraturi si renderebbero gli stimoli monetari. In parole povere, gli investitori temono che già nel 2022, quando il PEPP arriverà a scadenza, così come le aste T-Ltro III, la BCE inizi a valutare l’uscita dall’accomodamento. Fino a ieri, si dava forse per scontato che ciò non sarebbe accaduto almeno fino a tutto il 2022.

Sembra un paradosso, ma non lo è. Quando si ha a che fare con la politica monetaria, “bad news is good news”, cioè le cattive notizie sul fronte macro sono colte positivamente dagli investitori, in previsione di condizioni monetarie rese più favorevoli.

Uscire tra circa un anno e mezzo o giù di lì dagli stimoli potrebbe essere presto per l’insieme dell’area, ma soprattutto per la parte che sarà rimasta indietro, verosimilmente quel Sud Europa che dopo la scorsa crisi finanziaria del 2008-’09 patì maggiormente l’incipiente normalizzazione monetaria, tanto da sprofondare in una seconda crisi, quella dei debiti sovrani.

Insomma, siamo lontani dalla fine della festa, anche perché nulla sappiamo ancora di come andranno le cose sul fronte sanitario nei prossimi mesi e se effettivamente l’economia si riprenderà subito dopo la seconda ondata di contagi o rimarrà vittima di una eventuale terza. Tuttavia, è come se per la prima volta dopo tanto tempo qualcuno avesse fissato l’orario per lasciare la sala da ballo prima dell’alba, così che gli inservienti inizino a pulire. I mercati in questa fase non vogliono scadenze, ma rischiano di essere delusi anche Oltreoceano. Sebbene il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, abbia promesso che non alzerà i tassi almeno fino al 2023, già nel terzo trimestre la velocità di circolazione della massa monetaria M2 ha segnato un timido rialzo a 1,146 per la prima volta dal quarto trimestre del 2018. In genere, preluderebbe a un’accelerazione del tasso d’inflazione, che negli USA si attesta attualmente all’1,2%, sotto il target del 2%. Se i maxi-stimoli fiscali e monetari varati in questi mesi iniziassero a tradursi in aumenti robusti dei prezzi al consumo, chissà se la promessa potrà essere mantenuta.

La BCE sta già “cancellando” i debiti, ma non può ammetterlo

[email protected]