Per cosa passerà alla storia Madame Christine Lagarde? A meno di tre anni dall’inizio del mandato, l’ex direttore del Fondo Monetario Internazionale e già ministro delle Finanze francese è nota per le sue gaffe. Una fu eclatante ed ebbe conseguenze finanziarie devastanti. Il riferimento ovvio è alla battuta “non siamo qui a restringere gli spread” pronunciata dal governatore BCE nel marzo 2020, la quale provocò il peggiore crollo di sempre delle borse europee. Adesso, è chiamata a transitare l’Eurozona nella sua fase più complicata da decenni.

L’inflazione è volata all’8,6% a giugno, mentre i tassi d’interesse sono ancora negativi e gli acquisti dei bond sono cessati solamente pochi giorni fa. La teoria economica vorrebbe che la BCE debba alzare i tassi per battere l’inflazione, ma nello specifico ciò implica il rischio di amplificare gli spread già alti di questi mesi.

A Francoforte studiano da settimane uno scudo anti-spread a cui si oppongono i governatori del Nord Europa, che stanno lavorando più o meno apertamente per renderlo uno strumento tutt’altro che efficace. Lagarde ha dinnanzi a sé una scelta complicata: imitare la Bundesbank o la Banca d’Italia degli anni Settanta. La prima reagì alle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979 alzando i tassi d’interesse sopra l’inflazione. La Germania fu l’unica economia insieme alla Svizzera a non avere conosciuto in quegli anni tassi d’inflazione a due cifre.

Bundesbank e Bankitalia negli anni Settanta

Grazie a questa strategia, la Bundesbank riuscì non solo a tenere l’inflazione sotto controllo, ma anche a fare del marco tedesco una valuta di riferimento in Europa. Tra l’inizio del 1975 e la fine degli anni Ottanta, il cambio si rafforzò del 40% contro il dollaro americano. Invece, tra la fine l’inizio della prima crisi petrolifera e la fine degli anni Ottanta la lira italiana si deprezzò di ben il 55%.

La Banca d’Italia non alzò i tassi d’interesse in misura adeguata e la nostra economia registrò i più alti tassi d’inflazione tra i grandi paesi dell’Occidente. Essi restarono a doppia cifra per una dozzina di anni.

C’è da dire che nel decennio 1974-’83 l’economia italiana crebbe del 27% contro il 20% dell’economia tedesca. In altre parole, la Bundesbank accettò di frenare la crescita del PIL pur di tenere sotto controllo i prezzi. In Italia, si optò per la strada opposta. I risultati alla lunga premiarono certamente i tedeschi. Dunque, la BCE può decidere di puntare più sulla crescita nel breve periodo a discapito della stabilità dei prezzi, un po’ come l’Italia negli anni Settanta e Ottanta. Oppure può imboccare la via tedesca della stabilità dei prezzi, tollerando anche una frenata del PIL nel breve. Nel primo caso, schianterebbe il cambio euro-dollaro sotto la parità, nel secondo ne favorirebbe la risalita.

Possibile BCE italo-tedesca

Lagarde non sa ancora oggi se fare la tedesca o l’italiana. Avrebbe, però, il modo di essere entrambe senza scontentare realmente nessuna delle parti. Potrebbe fare la tedesca alzando i tassi d’interesse a ritmi veloci e tali da contrastare con efficacia l’inflazione. Al contempo, farebbe l’italiana varando uno scudo anti-spread che eviti la speculazione contro i titoli di stato nel Sud Europa.

Ma ai tedeschi fa venire l’orticaria la sola idea di monetizzare i debiti sovrani altrui. L’alternativa sarebbe certamente più spiacevole per Berlino: tassi bassi e inflazione alta a lungo. E l’instabilità finanziaria che questa non strategia comporterebbe, frenerebbe la crescita nell’Eurozona. Non s’illudano i tedeschi che otterranno lotta all’inflazione senza alcuno scudo anti-spread efficace.

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