Si alza il livello della tensione geopolitica in Asia. E questa volta non stiamo parlando delle minacce cinesi contro l’isola di Taiwan. La scorsa settimana, il dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-Un, ha annunciato che il lancio del primo satellite-spia sarebbe pronto. Per tutta risposta, il governo giapponese ha ordinato all’esercito di abbattere qualsiasi missile che dovesse poter ricadere nel territorio nazionale. Nessuno ha sinora abbattuto un missile lanciato da Pyongyang. C’è il forte rischio che l’evento, ove si verificasse, inneschi un’escalation militare.

La Cina, che ha funto da moderatore dietro le quinte del suo alleato nordcoreano, potrebbe essere tentata di non porvi più alcun freno.

Corea del Nord tra collasso economico e sfida nucleare

Nel 2023 ricorrono settanta anni dalla firma dell’armistizio tra Corea del Nord e Corea del Sud. Esso pose fine ai combattimenti dopo tre anni, ma mai veramente alla guerra. Ufficialmente, la pace non è mai stata siglata. L’aspetto più curioso di questa vicenda consiste nel fatto che Kim Jong-Un sembra ignorare le enormi difficoltà in cui versa l’economia del paese. Non esistono fonti ufficiali sulle sue condizioni macro, ma si stima che il PIL pro-capite non arrivi a 750 dollari contro i 35.000 della Corea del Nord.

La malnutrizione è diffusa, come rivela la statura media della popolazione ben più bassa di quella dei sudcoreani. E stiamo parlando di un’unica etnia, per cui i dati sono perfettamente comparabili. Ciononostante lo stato destinerebbe ogni anno circa un quarto del PIL alle spese militari. Non esistono una scuola adeguata o una sanità che possa definirsi tale. Gli ospedali somigliano più a mattatoi e dopo un’istruzione elementare garantita a tutti, solo chi sta all’apice della gerarchia sociale può andare avanti con gli studi.

Com’è possibile che un paese così affamato si permetta il lusso di spendere in armi e test nucleari con la popolazione che stenta a mangiare un paio di volte al giorno? La Corea del Nord è un regime comunista particolare.

Il potere si trasmette dinasticamente. Siamo alla terza generazione dei Kim. Dopo Kim Il Sung (1948-1994) e Kim Jong-Il (1994-2011), Kim Jong-Un ha assunto le redini del paese alla fine del 2011 dopo la morte improvvisa del padre. Promise inizialmente che si sarebbe concentrato sulle condizioni dell’economia nordcoreana. Fu così per qualche tempo, ma alla fine i vecchi vizi della ferocissima dittatura hanno preso il sopravvento.

Minaccia militare polizza di assicurazione per regime

La Corea del Nord si regge su un patto tra famiglia Kim, militari e Partito dei Lavoratori o comunista che dir si voglia. Il bilanciamento di questi tre poteri è assai delicato. Contrariamente a quanto si pensi, Kim Jong-Un non possiede un potere assoluto vero e proprio. L’ultima parola sulle politiche per la difesa spetta sempre ai militari. E per mantenere saldo il proprio potere con annessi privilegi, i generali fanno di tutto per dilatare le spese militari da un lato e per fomentare dal nulla tensioni con nemici reali o immaginari.

Ma la politica guerrafondaia di Pyongyang si deve anche ad altro. Quando all’inizio del millennio i funzionari del regime incontrarono l’allora segretario di Stato dell’amministrazione Clinton, Madelein Albright, chiarirono agli americani di avere notato un particolare: gli Stati Uniti non hanno mai attaccato chi possiede armi nucleari. Dunque, per Kim Jong-Un la minaccia nucleare è una sorta di assicurazione per la vita propria, della propria famiglia e del regime in Corea del Nord. Mostrarsi pericolosi diventa un modo per disincentivare qualsiasi potenza straniera dall’attaccare Pyongyang.

C’è anche tanta frustrazione in questi lanci ormai frequenti di missili balistici. Il regime cerca di attirare le attenzioni internazionali per arrivare a uno scambio tra sanzioni e atteggiamento più pacifico.

Le Nazioni Unite hanno adottato un embargo molto duro contro la Corea del Nord sin dal 2017. Tra le altre cose, esistono limiti stringenti alle importazioni di petrolio. In teoria, avrebbero dovuto portare Kim Jong-Un a più miti consigli. E’ accaduto il contrario. Solo lo storico incontro nel giugno del 2018 con l’allora presidente americano Donald Trump evitò per un soffio un’escalation apparentemente inarrestabile.

Kim Jong-Un spaventato del modello Gorbacev

Infine, ma non per importanza, c’è una considerazione alla base dell’atteggiamento bellico del dittatore. Egli vorrebbe imitare l’esempio cinese, liberalizzando l’economia per consentire l’uscita dalla miseria. E fino alla pandemia, va detto che, pur informalmente, il settore privato era cresciuto in un clima di tolleranza dello stato e non di leggi che ne codificassero i diritti. Si è rafforzata una classe di imprenditori, noti come “donju”, letteralmente “signori del denaro”. Con la chiusura delle frontiere dovuta alla pandemia nel 2020, la repressione verso speculatori e trafficanti attivi sul mercato nero è tornata in auge.

Il problema è che Kim Jong-Un teme di fare la fine di Mikhail Gorbacev, cioè di far compiere progressi all’economia e ai diritti individuali e perdere il potere allo stesso tempo. La classe media, una volta diventata potente grazie ai propri capitali, alzerebbe la testa nei confronti del regime e ne pretenderebbe lo smantellamento. Sarebbe la fine dei Kim, ma anche della Corea del Nord così com’è.

Non conosciamo quali siano le condizioni di vita esatte dei nordcoreani, essendo il “regno eremita” il più chiuso al mondo, anche fisicamente. Sappiamo che gli ultimi anni sono stati durissimi, tant’è che il dittatore ha rievocato persino i sacrifici dell'”ardua marcia” negli anni Novanta della carestia. Negli ultimi mesi, però, la riapertura delle frontiere con la Cina avrebbe dato un po’ di sollievo alla popolazione, come segnalerebbe il calo dei prezzi del grano, indice di una maggiore offerta di derrate alimentari.

Ma certo è che la priorità di un’economia al collasso non sarebbe il lancio di satellite-spia e la spesa militare.

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