In questi giorni, non si fa che parlare di Israele come modello di riferimento per le vaccinazioni anti-Covid. Il successo di Tel Aviv in queste prime due settimane di campagna è stato così eclatante, che viene guardato più come un miracolo. Al termine della giornata di domenica, ben 14,14 persone ogni 100 abitanti risultavano già vaccinate. Si tratta di gran lunga della più alta percentuale mondiale. A seguire, troviamo 3,57 persone ogni 100 nel Bahrein e 1,39 nel Regno Unito. In pratica, già 1,3 milioni di israeliani sono stati vaccinati su una popolazione complessiva di 9,29 milioni di abitanti, compresi quelli residenti a Gerusalemme est.

Si è partiti dagli anziani, i militari e il personale sanitario. (Monitora i dati internazionali, cliccando qui).

Il premier Benjamin Netanyahu non può che andare orgoglioso di questi primi dati, quando il paese è entrato in campagna elettorale per il ritorno anticipato alle urne a marzo. Entro gennaio, due milioni di cittadini saranno stati vaccinati con la seconda dose. I richiami partiranno dopo il 10 gennaio e dureranno fino alla fine del mese. A febbraio, marzo e aprile arriveranno 3 milioni di dosi Pfizer ogni mese, oltre quelle di Moderna. Entro marzo, dovrebbero risultare vaccinati 5 milioni di persone, il 60% della popolazione, un obiettivo che probabilmente l’Italia raggiungerà tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo. In sostanza, già a metà primavera, se tutto procedesse come da attese, Israele potrà dichiarare completata la campagna delle vaccinazioni. Si consideri che già dalla fine di questa settimana, il grosso della popolazione over 60, che ha inciso per il 90% delle morti per Covid nel paese, avrà ricevuto la prima dose, per cui sarà stata minimamente immunizzata.

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Le ragioni del successo di Israele

Ma com’è stato possibile per Israele ottenere risultati così straordinariamente veloci nella lotta contro il Covid? Per prima cosa, il suo governo è riuscito ad ottenere dalle principali case farmaceutiche un numero di dosi spropositatamente elevato rispetto alla popolazione.

Netanyahu ha dichiarato compiaciuto di avere parlato personalmente “13 volte con il CEO di Pfizer e diverse altre con quello di Moderna”. Probabile che per strappare una quantità così massiccia di dosi, Tel Aviv le abbia pagate più degli altri governi. I dati non sono ufficiali, ma poco importa. Se appena un mese fa, la maggioranza degli israeliani si mostrava scettica sulla vaccinazione, adesso è corsa a prenotarsi.

Un aspetto che sta influendo positivamente sulla risposta positiva tra i cittadini è il rilascio dei cosiddetti “passaporti verdi”: coloro che riceveranno la seconda dose di vaccino otterranno il rilascio di un certificato, grazie al quale potranno muoversi senza restrizioni e finanche entrare in contatto con persone positive. Di fatto, i centralini dei centri sanitari sono occupati tutto il giorno per le numerosissime prenotazioni di chi vuole vaccinarsi.

Un terzo fattore di forza per la campagna di vaccinazione israeliana è dato dall’abitudine della popolazione e delle istituzioni alle emergenze. Il governo sta affrontando il Covid come se fosse un nemico da combattere in guerra. Per questo, sta mobilitando anche i riservisti dell’esercito per il trasporto dei vaccini nelle aree più remote del paese.

Infine, il sistema sanitario. Esso si fonda su quattro casse mutue pubbliche e gestite come organizzazioni no-profit. Ogni cittadino che abbia raggiunto la maggiore età (18 anni) deve iscriversi obbligatoriamente a una delle quattro agenzie, alle quali non è consentito escludere la richiesta di iscrizione di un qualsiasi cittadino. Poiché i finanziamenti statali dipendono dal numero degli iscritti, in queste settimane si sta scatenando una vera concorrenza tra le agenzie per attirare cittadini con le vaccinazioni. Un insieme di ragioni, quindi, che sta facendo di Israele un modello nella corsa ai vaccini.

E la rapidità con cui i governi sapranno rispondere alla crisi sanitaria farà la differenza tra vincitori e vinti di questa pandemia.

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