Non se lo aspettava nessuno, tanto meno Victor Messiah, che ha saputo della notizia mentre si trovava a Londra per presentare il nuovo piano industriale agli investitori. Lunedì sera, il consiglio di amministrazione di Intesa-Sanpaolo ha formalizzato un’offerta di scambio azionaria con UBI Banca: 17 azioni di Intesa per ogni 10 di UBI portate in adesione. Poiché al termine della seduta di venerdì scorso, il titolo UBI aveva chiuso a 3,31 euro e quello di Ca’ de Sass a 2,48 euro, l’offerta implica il pagamento di un premio del 27,4% rispetto ai valori di borsa, capitalizzando UBI a 4,86 miliardi di euro.

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Ieri, le azioni di entrambe le banche italiane erano in rialzo, ma chiaramente ad essersi impennate sono state quelle dell’istituto di Messiah, che sono arrivate a segnare +28%, trainate già il giorno prima dal varo del nuovo piano industriale. E il risiko bancario ha sostenuto l’intero comparto a Piazza Affari, dove l’indice Ftse All-Share Banks ha guadagnato oltre il 2%. Del resto, l’aggregazione porterebbe alla maturazione annuale di utili per 6 miliardi di euro. Nel 2019, Intesa ha chiuso il bilancio in attivo di 4,2 miliardi, UBI di 251 milioni.

La fusione di Intesa e UBI, se ci sarà, rafforzerà il già primo gruppo bancario italiano, creando il settimo in Europa per attivi. In borsa, la nuova entità varrebbe sui 50 miliardi, staccando nettamente i quasi 32 di Unicredit. Molto fitta la rete delle filiali in Italia: 3.800 di Intesa e 1.600 portate in eredità da UBI. Per evitare sovrapposizioni nel Nord Italia, Intesa ha siglato un accordo con Bper per cedere 4-500 filiali del gruppo bergamasco e annessi 1,2 milioni di clienti nel caso in cui l’integrazione andasse in porto. Inoltre, UnipolSai rileverebbe i rami d’azienda di UBI attivi nel comparto assicurativo, vale a dire Bancassurance Popolari, Lombarda Vita e Aviva Vita.

E che fine farà MPS?

L’operazione aggregherebbe il primo e il terzo gruppo bancario, rafforzando la posizione di Intesa nel panorama domestico e internazionale. Senonché, nelle scorse settimane si era speculato di una possibile fusione tra MPS e UBI Banca e forse anche a tre o a quattro, coinvolgendo soggetti come BancoBPM e Bper. Ma ieri, alla notizia dell’offerta di scambio, il titolo senese guadagnava fino al 4%, evidentemente non risentendone in negativo. Che il mercato si attenda che la banca più antica del mondo resti “sposabile”, malgrado le novità? Ed eventualmente, sempre con UBI, nei fatti da controllata di Intesa?

Le azioni MPS trascinano il listino bancario, nozze in vista a tre o anche quattro

Carlo Messina non è nuovo a operazioni di salvataggio sistemiche in Italia, come quando nel 2017 rilevò le due popolari venete in crisi a costo zero e anzi ricevendo dallo stato una dotazione da 5 miliardi per neutralizzare l’impatto sul patrimonio dell’acquisizione. Stavolta, l’uscita del Tesoro dal capitale senese implicherebbe per il manager un esborso stimabile in 1,45 miliardi ai prezzi di borsa attuali, pari alla quota pubblica di oltre il 68%. In teoria, proprio i proventi derivanti dalle dismissioni offrirebbero a Ca’ de Sass la liquidità necessaria per rilevare MPS, sebbene il problema che ne scaturirebbe sarebbe di un’eccessiva concentrazione delle filiali al centro-nord, con sovrapposizioni insensate e dannose sul piano dei costi, oltre che scarsamente accettabili per la Vigilanza.

Siamo di fronte a un consolidamento di Intesa come principale attore bancario nazionale e che si contrappone alla strategia di Jean-Pierre Mustier di allentare il legame di Unicredit con l’Italia, con la decisione choc nei mesi scorsi di azzerare la quota in Mediobanca e l’annuncio di ridurre considerevolmente le esposizioni verso i BTp, al contempo cedendo la controllata online Fineco.

Quasi a rivendicare la propria vocazione domestica, l’ad Messina ha, invece, sempre speso parole di ottimismo per il nostro mercato sovrano e le operazioni di questi anni confermano che il banchiere punti a colmare gli spazi lasciati scoperti proprio dalla progressiva fuga di Unicredit.

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