Se la disoccupazione a maggio in America risultava scesa al 3,8%, il dato più basso da 18 anni, un’altra è diventata la notizia realmente sbalorditiva comunicata dal Dipartimento del Lavoro: i posti di lavoro offerti (“job openings”) risultano alla fine di aprile pari a 6,7 milioni, superando il numero dei disoccupati, pari a meno di 6,1 milioni di persone. In pratica, in un mercato del lavoro ideale, dove tutti sarebbero in grado di accettare una posizione aperta, saremmo dinnanzi a un tasso di disoccupazione negativo.

Sì, le persone che cercano lavoro potrebbero teoricamente trovarlo immediatamente e resterebbero circa 600.000 posti ancora disponibili negli USA. Che si tratti di numeri sorprendenti lo testimonia il fatto che mai si era registrato prima un simile riscontro. Si pensi che nel 2010, all’apice della crisi dell’occupazione, vi erano 6,5 disoccupati per ogni posto di lavoro disponibile, mentre persino negli anni pre-crisi si era dinnanzi a un rapporto di 1,5, nel migliore dei casi. Oggi, siamo sotto l’unità.

Com’è possibile uno stato di salute così positivo del mercato del lavoro a stelle e strisce? Naturale che l’amministrazione Trump rivendichi il merito di una condizione robusta. Da quando è in carica, si è ridotto di una settimana il periodo medio di disoccupazione, scendendo alle attuali 9,2 settimane, pur superiore ai livelli pre-crisi e quelli ancora più positivi di inizio Millennio, quando mediamente un disoccupato restava a spasso per non più di 6-7 settimane. Forse, proprio questa condizione di maggiore difficoltà rispetto alla tendenza storica, unitamente alla robusta crescita dei posti di lavoro creati, avrebbe creato le premesse per il record di cui sopra. Le offerte di lavoro impiegherebbero, infatti, qualche settimana più del dovuto per trovare riscontro, anche perché diventa sempre più difficile trovare nuovi lavoratori disponibili.

Detto ciò, sembra inspiegabile come uno stato di piena occupazione non si stia ancora traducendo in pressioni salariali evidenti.

I salari orari crescono al ritmo di meno del 3% all’anno, quando all’inizio del Millennio registravano incrementi tendenziali nell’ordine del 5%. Tutto ciò, nonostante siano aumentate anche le assunzioni a quota 5,6 milioni di unità in aprile, pari al 3,8%. I lavoratori che lasciano il posto sono stati 3,35 milioni. Pertanto, il totale dei posti di lavoro coinvolti da un qualche mutamento (dimissioni, licenziamenti, assunzioni e pensionamento) sale al 7,4% in aprile, un dato nettamente superiore al 5,9% del 2009, ma ancora inferiore all’8% del 2006, quando il tasso di disoccupazione si attestava al 4,6%.

Il mistero della “goldilocks” americana ce lo svela il dato di febbraio 

Mercato anche molto dinamico negli USA

Perché è importante misurare anche questi dati? Essi ci segnalano il grado di reale dinamicità di un mercato del lavoro. Se poche persone se la sentono di lasciare il proprio posto, evidentemente non confidano di trovarne un altro in tempi brevi e a condizioni uguali o migliori. Il fatto, quindi, che sempre più americani si spostano da un’azienda all’altra sarebbe un indicatore molto positivo della fiducia tra i lavoratori e della robustezza del mercato del lavoro negli USA. Una possibile spiegazione di un tasso di dinamicità ancora di poco inferiore a quelli raggiunti nel 2006 risiederebbe nell’invecchiamento progressivo dei lavoratori, segno della più ampia tendenza demografica negli States. Meno probabile, infatti, che un over 60 ancora occupato rischi il posto per cercarne un altro. Questo abbassa la percentuale sul totale dei “quitters” e forse terrebbe i salari più stagnanti di quanto altrimenti non sarebbero.

Aldilà dei dati generali, impressionano anche altri più specifici: il tasso di disoccupazione tra chi possiede solo un diploma è sceso al 3,9%, tra coloro che sono andati al college al 3,2% e tra i laureati o chi ha seguito un master, addirittura, al 2,1%, attestandosi al 5,4% tra chi non ha un titolo di studio più basso del diploma.

E ancora, disoccupazione al 5,9% tra i neri, il dato più basso dall’anno di inizio delle rilevazioni nel 1972. Già in aprile si era registrata la differenza più bassa di sempre con la disoccupazione tra i bianchi, scesa al 2,4%, sotto il 3% per la prima volta nella storia. Sembra, quindi, che la creazione di nuovi posti di lavoro stia riguardando un po’ tutte le fasce sociali e persino le minoranze meno fortunate della popolazione americana. Sotto Trump, risultano aumentati di 3,4 milioni di unità. E circa l’82% degli occupati lavorava full-time alla fine del 2017.

Economia americana in gran salute, creati 1,5 milioni di posti di lavoro in 8 mesi

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