Si è aperto il XX Congresso nazionale del Partito Comunista in Cina con la lettura di un lungo discorso di 100 minuti del presidente Xi Jinping. Un assise affollata da 2.300 delegati venuti da tutto il paese e che gestiscono nei fatti una popolazione di 1,4 miliardi di persone. Quasi certamente, il capo dello stato otterrà l’ambito terzo mandato, in virtù di una riforma del 2018 che ha eliminato il divieto di ricandidarsi dopo il secondo mandato. Sarà il leader più longevo dai tempi di Mao Zedong.

Ci sono i successi dei suoi dieci anni nel lungo elenco degli obiettivi raggiunti, tra cui la lotta alla corruzione. Essa avrebbe sradicato, a suo dire, “volpi, mosche e topi” dagli organi del partito, dello stato e dell’esercito. Ma tira aria di crisi in Cina, sebbene i numeri possano offrire un’idea diversa.

Secondo Moody’s, la crescita del PIL quest’anno sarà solo del 3,5%, in caduta verticale dall’8,1% del 2021. Per l’anno prossimo, gli analisti stimano un aumento superiore al 5%. C’è da dire che i ritmi di crescita prima del Covid fossero del 6% medi all’anno. E se Xi si ostinerà, come ha confermato al Congresso, ad imporre la sua politica di “Covid zero”, ci saranno nuove chiusure e un rallentamento dell’economia più marcato delle stime attuali.

Crac immobiliare e yuan

Per non parlare del fatto che i governatori locali hanno accumulato debiti per quasi 1.000 miliardi di dollari nei primi otto mesi di quest’anno. Il gettito fiscale e il ricavato dalla vendita dei terreni pubblici non bastano più a coprire le spese. Generalmente, i disavanzi li copre lo stato centrale, ma la bassa crescita del PIL impone anche a Pechino una certa dose di prudenza. Né si può calcare la mano con la vendita dei terreni pubblici, data la condizione di crisi in Cina che si respira da qualche anno nel settore immobiliare.

Colossi come Evergrande sono saltati in aria, mandando su tutte le furie i piccoli investitori e le famiglie che avevano acquistato case in costruzione e alle quali non saranno mai consegnate.

A segnalare che non tutto vada bene c’è il cambio. Servono ormai 7,20 yuan per un dollaro, mai così tanti dalla fine del 2007. Nel 2014, si era scesi a circa 6. La Banca Popolare Cinese non può alzare i tassi d’interesse per contrastare la forza del dollaro, anzi li ha dovuti tagliare di recente per sostenere l’economia domestica e alleviare il peso dei debiti proprio del settore immobiliare. Per fortuna, l’inflazione a settembre era salita solamente al 2,8% contro il 10% dell’Eurozona.

Poche nascite, tanti pensionati

Per non parlare della crisi demografica. Già nel 2023 la popolazione in India sarà la più numerosa al mondo e supererà quella cinese. Ma il vero problema ovviamente non è questo, quanto il fatto che nascano pochissimi bambini: appena 7,52 ogni 1.000 abitanti nel 2021, record minimo dello sterminato paese. Siamo praticamente ai livelli dell’Italia, con la differenza che qui il grado di sviluppo dell’economia non si è ancora completato e rischia di frenare con l’invecchiamento demografico. La popolazione attiva nell’ultimo decennio è crollata dal 70% al 63%. E gli over 60, che nel 2010 erano ancora al 13% dell’intera popolazione, già nel 2020 salivano al 19% e nel 2040 sono stimati al 28%.

In sostanza, ci saranno sempre meno lavoratori e più pensionati. Squilibri acuiti dalla politica del figlio unico, di recente mandata in soffitta dopo quattro decenni per risollevare le nascite. I risultati tardano ad arrivare, anche perché le condizioni socio-economiche delle famiglie non stanno consentendo a molte di esse di considerare un secondo figlio. Ci sono genitori anziani da accudire e due stipendi spesso da portare a casa per vivere. E’ già dura così.

Crisi in Cina con nuova geopolitica mondiale

Poi c’è il capitolo geopolitico, non meno grave per Xi. Le proteste di Hong Kong sono state represse nel sangue e adesso si apre il fronte di Taiwan. Il presidente non vuole sentirne di concedere l’indipendenza e, anzi, ha promesso la riunificazione con l’isola. Allo stesso tempo, la vicinanza alla Russia di Vladimir Putin allontana Pechino sempre più dall’Occidente, con il rischio di far saltare in aria quella globalizzazione che ha consentito all’economia cinese di prosperare e trasformarsi in un paio di decenni da arretrata e agricola a industrializzata e sviluppata.

Il terzo mandato è garantito a Xi, indipendentemente dai risultati, da una concentrazione del potere inusitata anche in un regime comunista come quello cinese. Gli oppositori interni al partito praticamente sono stati messi a tacere tra arresti e defenestrazioni. Il presidente non ha neppure nominato un suo erede al Politburo, segno che di andar via non ne ha voglia. Ma i sogni neo-imperiali di Xi si scontrano con una realtà sempre meno rampante come quella che si trovò ad ereditare nel 2013 al suo arrivo al potere. La crescita non è più quella di una volta e neppure le relazioni con i principali mercati di sbocco.

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