Giovedì 21 luglio, la BCE ha cerchiato di rosso il proprio calendario. Per la prima volta dopo undici anni, ha deciso di alzare i tassi d’interesse. E lo ha fatto di mezzo punto percentuale. Le previsioni erano per un quarto di punto. Allo stesso tempo, ha varato lo scudo anti-spread noto come TPI (Transmission Protection Instrument). Si tratta di un nuovo strumento, che va ad affiancarsi all’OMT di Mario Draghi del 2012 e ai reinvestimenti “flessibili” con il PEPP. Questi ultimi rappresentano, stando al vocabolario espresso dal governatore Christine Lagarde in conferenza stampa, “la prima linea di difesa” dei bond da eventuali attacchi speculativi.

Chi si aspettava, però, realmente uno scudo contro la speculazione è rimasto senz’altro deluso. Pur in assenza di “restrizioni ex ante”, il TPI sarà fortemente condizionato e discrezionale.

Scudo anti-spread, limiti del TPI

Nessun sostegno ai BTp automatico nel caso in cui essi dovessero ritrovarsi oggetto di forti vendite ingiustificate. E, sopra ogni altro discorso, tale sostegno dovrà essere compatibile con la linea di politica monetaria. A tutti gli effetti, la BCE sta bluffando. Non ha dato vita ad alcuno strumento realmente capace di sventare un attacco speculativo contro questi o quei bond. Semplicemente, ha messo nero su bianco alcune linee-guida da seguire nel caso in cui ciò accadesse e senza particolare trasporto a favore dei paesi sostenuti.

Ci sono ragioni politiche molto forti dietro a tale bluff. Lo scudo anti-spread non può spingersi fino al punto di deresponsabilizzare i governi del Sud Europa rispetto alle loro politiche fiscali. Lo spread resta una formidabile arma di pressione, che senz’altro in assenza di programmi monetari come il “quantitative easing” (QE) costringerà i governi a fare i conti con i rispettivi debiti. L’era della monetizzazione della spesa in eccesso è temporaneamente cessata.

Esistono anche ragioni tecniche, che hanno impedito il varo di uno scudo anti-spread più efficace.

La BCE ha rastrellato tra QE e PEPP qualcosa come 5.000 miliardi di euro di titoli obbligazionari. Di questi, 730 miliardi sono titoli di stato italiani. Cosa accadrebbe con uno scudo anti-spread propriamente detto? Nel caso di attacco speculativo, la BCE dovrebbe acquistare BTp illimitatamente. Ma ciò equivarrebbe a iniettare ulteriore liquidità sui mercati. Con l’inflazione che tende ormai alla doppia cifra, sarebbe un suicidio. Non a caso, l’istituto ha previsto la sterilizzazione degli importi eventualmente eccedenti.

BCE a rischio “bad bank”

In prima battuta, i maggiori acquisti di BTp andrebbero a discapito degli acquisti di Bund e altri bond del Nord Europa in fase di reimpiego con il PEPP. Dunque, la BCE si ritroverebbe in pancia sempre più titoli di stato italiani e meno tedeschi o olandesi, tanto per chiarirci. In altre parole, la qualità dei suoi attivi si ridurrebbe. I bond italiani hanno rating inferiori (BBB) dei tedeschi (AAA). Con il tempo, lo scudo anti-spread trasformerebbe la BCE in una “bad bank”, cioè zeppa di crediti a rischio. Vi fidereste mai di una banca che presta denaro perlopiù ad aziende quasi fallite? Quasi certamente non ci portereste il vostro denaro.

Ecco, per una banca centrale non funziona assai diversamente. Solo che qui non si tratta di accendere un conto corrente, quanto di fidarsi del suo “debito” per eccellenza: la moneta. Ricordiamoci che le emissioni di banconote non sono altro che impegni. Sarà un caso, ma la discussione attorno allo scudo anti-spread è stata accompagnata dal crollo del cambio euro-dollaro fin sotto la parità. Dopo il board, il cross è leggermente risalito sopra 1,02. Che per caso i mercati ci segnalano di non avere fiducia verso un euro stampato e “garantito” in misura crescente dai BTp? La BCE deve stare attenta alla sua credibilità.

Se si privasse di attivi di qualità per detenere carta italiana, diverrebbe una Banca d’Italia sotto mentite spoglie. E ne pagherebbe le conseguenze in termini di tasso di cambio, oltre che d’interesse preteso sui prestiti in euro.

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