Cosa c’è di più ridicolo di un paese che non riesce neppure a stampare moneta? Il Venezuela è riuscita nell’impresa di emettere così tante banconote da non avere più soldi per pagare le tipografie. Non è una barzelletta. Tempo fa, ha dovuto cessare il rapporto con la società De La Rue, non riuscendo a saldare le fatture per i servizi resi con la stampa dei bolivares. E così si è rivolto alla Russia, che tramite una società controllata dallo stato ha permesso al regime di Nicolas Maduro di continuare ad alluvionare l’economia di banconote sempre più carta straccia.

Ma evidentemente anche a Mosca, a un certo punto, vorrebbero essere pagati. Ed ecco che la disperazione di Caracas è arrivata a Caracas, per l’esattezza a Verona.

Venezuela all’ottavo anno di recessione: a breve non estrarrà una goccia di petrolio

La banca centrale ha commissionato alla Fedrigoni, storica società controllata dal fondo americano Bain Capital e in virtù di un contratto siglato nel 2018, la bellezza di 71 tonnellate di banconote da 100.000 bolivares. E’ il valore nominale più alto mai emesso dal Venezuela, ma sapete quanto vale ogni biglietto? Appena 22 centesimi di dollaro, meno di 20 centesimi di euro. E questo, dopo che due anni fa il governo decise di ritirare le vecchie banconote, emettendone di nuove e con 5 zeri in meno.

Se agli inizi del 2019 l’inflazione culminò al 350.000%, adesso risulta scesa a quasi il 2.400%. Ufficialmente, l’iperinflazione è finita da circa un anno e mezzo. Per essa, s’intende una crescita mensile dei prezzi di almeno il 50%. Questo non significa che i problemi dei venezuelani siano risolti. Anzi, ai ritmi attuali i prezzi aumentano di 25 volte in 12 mesi, quasi raddoppiando ogni mese. I bolivares non valgono davvero nulla e, infatti, i venezuelani più fortunati pagano esclusivamente in dollari, mentre il resto della popolazione punta più che altro sul baratto per fare acquisti.

Ormai, servono più di 100 salari minimi mensili per fare la spesa.

Venezuela a caccia di oro

La situazione è diventata così drammatica, che la banca centrale ha reclamato l’oro depositato presso la Banca d’Inghilterra e che varrebbe oggi circa 1 miliardo di dollaro. Con i proventi della vendita, ha dichiarato, combatterebbe il Covid, accedendo al programma alimentare dell’ONU. Ma Londra ha risposto picche, non riconoscendo più ufficialmente il governo di Maduro, bensì quello di Juan Guaido, il leader delle opposizioni al regime. Caracas ha fatto ricorso e, in primo grado, il giudice britannico ha dato ragione alla Banca d’Inghilterra, mentre quello in appello ha richiesto più tempo per esprimersi, notando nel riconoscimento dell’amministrazione Guaido da parte di Londra una certa “ambiguità” espressiva.

L’unico bene esportato di fatto dal Venezuela è il petrolio, le cui estrazioni sono crollate a meno di 400 mila barili al giorno, con la prospettiva credibile di un totale azzeramento entro pochi mesi. Colpito dall’embargo USA per le ripetute violazioni dei diritti umani, il regime “chavista” non riesce più ad accedere ai dollari e da quasi tre anni ha dovuto sospendere i pagamenti relativi al debito sovrano su $65 miliardi di bond, precipitando in default. Da qui, il paradosso della prima economia al mondo per riserve petrolifere (oltre 300 miliardi di barili accertati) e con le stazioni di servizio a secco di carburante.

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