Gli Stati Generali sull’Economia si sono conclusi domenica e non hanno partorito praticamente nulla, se non la consapevolezza che tutte le categorie produttive chiedano sostegno per ripartire dopo il Covid-19. Ed ecco che il premier Giuseppe Conte estrae dal cilindro il taglio dell’IVA. Dalla sua, ha il Movimento 5 Stelle, mentre PD e Italia Viva vorrebbero che s’intervenisse sul costo del lavoro. Ma per Palazzo Chigi sembra essenziale rilanciare i consumi sfoltendo la tassazione che vi grava direttamente e chiaramente all’ipotesi plaudono i commercianti, tra i più direttamente colpiti dal “lockdown”.

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Il taglio dell’IVA vorrebbe imitare quello della Germania, dove l’aliquota del 19% è stata abbassata al 16% e quella del 7% al 5% per 6 mesi. Nell’idea del governo, l’aliquota del 22% scenderebbe fino a una decina di punti, mentre quella del 10% che grava sui beni primari verrebbe appena limata. Ma il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, frena e non può fare altrimenti, dato il forte ammanco che il gettito fiscale accuserebbe con questa misura.

Ogni punto percentuale in meno rispetto al 22% dovrebbe impattare sui conti pubblici per 4,5 miliardi, per cui una riduzione di 10 punti per 12 mesi equivarrebbe a 45 miliardi di euro di maggiore debito. Troppi, anche in tempi di emergenza. Se l’ipotesi del taglio venisse ristretta temporalmente, il costo già si ridurrebbe. Ad esempio, per soli 3 mesi sarebbe di 11-12 miliardi. E se riguardasse solo alcune categorie merceologiche, come auto, abbigliamento e servizi legati al turismo, al fine di rianimarle dopo lo shock del Covid, la perdita di gettito risulterebbe ancora minore.

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E avanza l’ipotesi di effettuare un taglio corposo dell’IVA temporaneo solo per i pagamenti elettronici o, comunque, tracciabili. In questo caso, la misura allo stato costerebbe molto meno e il consumatore si ritroverebbe dinnanzi alla scelta di pagare in contanti con le aliquote così come sono oggi, oppure di pagare con carta di credito, bancomat o assegno alle minori aliquote che il governo fisserebbe.

Un incentivo per i pagamenti “cashless” che si andrebbe a sommare al credito d’imposta del 30% riconosciuto dal prossimo 1 luglio alle partite IVA con fatturato fino a 400.000 euro e relativamente ai costi sostenuti per offrire alla clientela servizi di pagamento alternativi al contante, come il POS.

Questa idea di per sé potremmo sostenere che temporaneamente discriminerebbe coloro che pagano in contanti, ma senza gravare sulle loro tasche, semmai facendo risparmiare quanti optassero per i pagamenti elettronici. A parte che la misura finirebbe per non beneficiare proprio le fasce della popolazione più deboli, sprovviste di conto bancario o distanti dalla tecnologia, come sarebbero gli anziani e gli immigrati, tanto per citare due categorie sensibili. Il vero punto è, però, un altro: questa misura servirebbe a fornire uno stimolo immediato ai consumi, trasformandosi successivamente in una stangata ai danni di chi continuerà ad usare i contanti. Come?

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Stangata sul contante

Finito il periodo di incentivo, il governo brinderà al successo dell’iniziativa. A quel punto, il Parlamento gli chiederà di prorogare il beneficio per chi paga in modalità tracciabile, ma a causa dei vincoli di bilancio, esso si tradurrà stavolta in un aumento dell’IVA a carico dei pagamenti in contanti, non in un taglio a favore di quelli cashless. Vi ricordate le famose clausole di salvaguardia, che il governo ha messo in soffitto proprio approfittando dell’emergenza Covid? Ebbene, sono uscite dalla porta dopo un decennio per rientrare dalla finestra tra pochi mesi. Anche perché l’Europa ci solleciterà riforme e misure per tagliare il debito e migliorare i conti pubblici, specie se prenderemo anche un solo euro di aiuti.

Dunque, la stangata sui consumi tanto cara a Bruxelles finalmente diverrebbe reale, pur riguardando i soli pagamenti in contanti. Il governo otterrebbe il via libera della Commissione, sostenendo che questa imposizione parallela punterà a contrastare l’alta evasione fiscale. Chi non volesse essere assoggettato alle più alte aliquote dovrebbe pagare con carta anche il caffè al bar, il tutto mentre il problema dei costi di gestione dei servizi di pagamento verrebbe falsamente risolto con il credito d’imposta. Non fatevi prendere per il naso, siamo alla vigilia di una caccia alle streghe contro chi osi usare banconote e monetine per fare la spesa. Il taglio dell’IVA sarà il cavallo di Troia per scatenarla.

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