L’80% dei circa 56.000 votanti online del Movimento 5 Stelle sulla piattaforma Rousseau ha “salvato” la leadership di Luigi Di Maio, reduce dalla pesante sconfitta rimediata alle elezioni europee di domenica scorsa. Non è passato per il momento il tentativo dell’ala sinistra dei pentastellati, capeggiata da Alessandro Di Battista e Roberto Fico, di detronizzare il capo/portavoce. Né avrebbe avuto senso sul piano politico, visto che l’M5S si è caratterizzato nel suo primo anno di governo per posizioni non certo “di destra”, tranne per l’appoggio per ragioni di convenienza alla linea dura di Matteo Salvini sull’immigrazione.

La misura clou del programma grillino è stata attuata: il reddito di cittadinanza. Non certo nella dimensione promessa alle scorse politiche, ma l’intervento a sostegno delle fasce (ufficialmente) meno abbienti c’è stato. Ed è una cosa di sinistra, non certo di destra.

La sconfitta del Movimento 5 Stelle non è solo di Di Maio

Eppure, elettoralmente parlando, non ha pagato. Diremmo, sia stato un pessimo investimento per Di Maio, che pensava di trionfare al sud proprio con il vento in poppa dell’ondata assistenziale. Chiamatela ingratitudine degli elettori o aspettativa delusa, fatto sta che il reddito di cittadinanza è stato intascato già per il primo mese e non ha minimamente costituito quel “floor” alla caduta dei consensi per l’M5S che ci s’immaginava.

Di Maio e soci sono rimasti probabilmente vittime di una narrativa giornalistica, secondo la quale il movimento avrebbe stravinto al sud nel marzo 2018 per la voglia di assistenzialismo dilagante tra i meridionali. E’ stato un racconto furbo, distorto, esagerato con ogni probabilità per nascondere le reali ragioni del successo pentastellato di 15 mesi fa: la voglia di cambiamento più forte che mai, il desiderio di mandare a casa i due schieramenti principali che avevano governato l’Italia dal 1994. Se al nord a beneficiarne è stata la Lega, al sud non potevano che essere proprio i 5 Stelle, visto che il Carroccio, pur in versione nazionale, ancora non aveva messo radici al di sotto del Po.

Mandato tradito al sud?

Ovunque, sommando i consensi di Lega e 5 Stelle, alle politiche il 50% e passa degli elettori aveva votato per formazioni anti-sistema, nel senso non dispregiativo dell’espressione. Di Maio è stato convinto dalla stampa “mainstream” che il suo trionfo fosse dovuto alla promessa del reddito di cittadinanza, che non avrà avuto, invece, quell’impatto così cardinale ipotizzato. Il sud più dello stesso nord aveva espresso la volontà di consegnare il mandato a una formazione apparentemente estranea al vecchio sistema, ingessato e bloccato, con il preciso fine di reclamare una politica volta allo sviluppo del proprio territorio, abbandonato dopo mezzo secolo di clientelismo alla fuffa delle chiacchiere.

Il reddito di cittadinanza di Di Maio non è epocale nei numeri, ma sul piano culturale

Invece, Di Maio ha creduto di placare tali richieste con l’invio di una prepagata alle famiglie con redditi bassi e magari nullatenenti, che se da un lato è stato accolto favorevolmente proprio nel Meridione, dall’altro non è certo la soluzione definitiva ai problemi immaginata dai suoi abitanti. Per il resto, i 5 Stelle di risposte strutturali non ne hanno ancora fornito. Bloccano i cantieri, ora per questioni ambientali e ora per dubbie analisti benefici-costi; contrastano il taglio delle tasse chiesto dalla Lega; intendono irrigidire ulteriormente i contratti di lavoro nel nome della lotta alla precarietà; sono lontani anni luce dai problemi delle amministrazioni locali, non comprendendo come le norme formalmente scritte a presidio della legalità abbiano finito solamente per paralizzare la loro azione.

Salvini sta avendo la furbizia di mordersi la lingua e di evitare di provocare la crisi di governo, cercando di addossarla proprio ai 5 Stelle, che di andare ad elezioni anticipate hanno adesso ancora meno voglia di prima.

E, però, o ne accettano le richieste su fisco e imprese o dovranno tenere in conto la caduta del governo Conte. Il leader leghista ha nei fatti “blindato” la leadership di Di Maio, chiarendo ieri che nel caso in cui a guidare l’M5S fosse un Di Battista, l’alleanza di governo finirebbe automaticamente. Perché? Sa che un leader debole è quello che gli serve per trasformare il trionfo di domenica in fatti, i quali a loro volta avvicinerebbero le urne anticipate man mano che i consensi per la Lega dovessero persino migliorare. E Di Maio sa che dovrà fare l’equilibrista tra Salvini e Di Battista, tra la destra e la sinistra al governo, un compito assai arduo e che prefigura altri insuccessi.

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