La Germania ha dato l’assenso, dopo mesi di tentennamenti, alla proposta europea di embargo contro il petrolio russo. A malincuore, il governo Scholz ha detto “ja”, attirandosi le ire di industriali e sindacati tedeschi. Berlino importa il 55% del gas e il 35% del greggio che consuma. Le parti sociali temono una crisi energetica devastante per l’economia teutonica nel caso in cui le importazioni di queste due materie prime dalla Russia fossero stoppate a breve. Il PIL è scampato alla recessione nel primo trimestre, crescendo dello 0,2%.

Si era contratto dello 0,3% nell’ultimo trimestre del 2021. Ma i motivi di soddisfazione si fermano qui.

Nei primi tre mesi dell’anno, la bilancia commerciale tedesca, fiore all’occhiello nazionale, ha registrato un attivo di 23,1 miliardi di euro (dato destagionalizzato), in forte calo dai 52,6 miliardi di un anno prima. Le esportazioni sono cresciute del 10,1% a 362,7 miliardi, le importazioni del 22,7% a 339,4 miliardi. Con questi numeri, tre quarti di punto di PIL se ne sono già andati. Non a caso, la crescita economica attesa è adesso nell’ordine del 2,2%.

Economia tedesca in affanno

La crisi energetica influisce negativamente sull’economia tedesca, che è essenzialmente basata sull’export. Poiché aumentano i costi dei prodotti importati, i margini delle imprese si riducono. Evidentemente, esse non sono in grado di trasferire del tutto gli aggravi sui prezzi finali. E questo la dice lunga sullo stato dell’intera economia mondiale. Ma a pesare vi sono anche i famosi “colli di bottiglia” provocati dalla pandemia: dall’altra parte del mondo, le restrizioni anti-Covid hanno generato stop alla produzione. Alcuni input non sono arrivati all’Europa, dove paesi come la Germania hanno potuto produrre di meno.

Infine, la carenza di alcune materie prime come i chip. Per l’industria automobilistica sono fondamentali oramai. Anche questo ha contratto i livelli di produzione. Tuttavia, la minaccia al modello tedesco rischia di essere più strutturale.

Ad esempio, a marzo gli interscambi con il Regno Unito sono diminuiti del 27% rispetto al 2019, cioè prima della Brexit. Londra sta staccandosi dal mercato unico, mentre mercati come la Cina non sono più sicuri con il “reshoring” in corso già dai mesi della pandemia. E ora con la guerra, la Russia è andata e l’alleato asiatico diventa una prospettiva meno certa.

La scossa della crisi energetica su Berlino

La Germania ha subito uno choc con la rottura degli accordi con la Russia su Nord Stream 2. Pensava di avvalersi del gas a basso costo per i prossimi decenni, mentre si vede costretta a dotarsi di rigassificatori per importare a costi ben maggiori da paesi lontani come il Qatar. Aveva quasi snobbato le economie dell’Eurozona, guardando più all’Asia per la sua crescita di lungo periodo. Adesso, potrebbe dover rivedere i suoi piani. Non può più permettersi di perdere quote commerciali in aree come il Sud Europa, perché la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta nei decenni passati potrebbe essere alle spalle.

La fisionomia del modello tedesco, quindi, potrebbe cambiare. Più attenzione all’Area Euro equivarrebbe a maggiore sensibilità verso le condizioni economiche degli stati alleati. Per essere più chiari, altre querelle come dieci anni fa sul salvataggio della Grecia non sarebbero più sostenibili. Così come le ricette sbrigative con cui Berlino ha pensato di risolvere i problemi in casa altrui non saranno somministrate più a cuor leggero. Se prima della pandemia l’economia tedesca era cresciuta al ritmo medio del 2% all’anno, nonostante attorno a sé avesse il vuoto, con il traballamento della globalizzazione questo scenario per il futuro è più che mai incerto. I tedeschi punteranno molto meno il dito contro gli italiani. I loro interessi iniziano a coincidere con il nostro.

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