Il Decreto “Cura Italia” ricalca le orme dei famosi “Salva Italia” e “Cresci Italia” del governo Monti, nel senso che il titolo smentisce il contenuto. In effetti, a leggere le misure in esso contenute, possiamo tutt’al più affermare che molte siano di buon senso, tra cui spiccano il rinvio delle scadenze fiscali per le partite IVA e l’estensione della Cassa integrazione a tutti i lavoratori. Nel complesso, 25 miliardi di euro, che innalzano da 58 a 83 miliardi l’ammontare massimo per le emissioni di titoli di stato per quest’anno.

Una stima molto ottimistica, perché è assai probabile che il disavanzo fiscale risulti ben più elevato.

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Se il testo fosse stato denominato “Emergenza Italia”, tutto sommato sarebbe stato accettabile, ma pensare che il decreto già in vigore sia capace di risollevare l’economia italiana appare a dir poco ridicolo. Non esiste una sola misura che punti a contrastare la crisi, semmai a lenirne gli effetti sulle varie categorie sociali, dai lavoratori autonomi a quelli dipendenti. Ma quando tutto sarà passato – e si spera molto presto, anche se ne dubitiamo – le macerie di questo disastro si materializzeranno e saranno molto alte.

Il fatturato perduto dalle imprese in queste settimane di stop alle attività non verrà del tutto recuperato. Anzi, in parte potrebbe subire un calo definitivo, qualora i clienti esteri cercassero nel frattempo nuovi fornitori da paesi in cui la produzione sta proseguendo e proseguirà senza interruzioni. Molti posti di lavoro stagionali andranno perduti e aver rinviato le scadenze fiscali per il comparto turistico non significa aiutarlo, bensì prendere atto che gli operatori non abbiano alcunché da versare, essendo il loro fatturato praticamente azzeratosi con l’arrivo della pandemia.

Decreto senza coraggio e ambizione

Intanto, le tasse su zucchero, plastica e auto aziendali restano in piedi.

Si presentavano già come demenziali quando pensavamo che quest’anno saremmo almeno cresciuti di uno zero virgola, adesso sono diventate incommentabili. Se c’è un momento in cui approfittare per abbandonare ogni remora e andare “all in” sul sostegno all’economia italiana, pur nella fase disgraziata, sarebbe proprio questo. Con la pesante crisi in corso, non resta più alcunché da difendere, mai come adesso sarebbe necessario azzerare e ripartire. La politica fiscale va rivoluzionata, anche se all’impatto dovesse esservi un calo drastico delle entrate, anche perché questo vi sarà lo stesso, ma almeno eviteremmo di trascinarci questa crisi per anni e anni, com’è accaduto dal 2008, rianimando l’economia con uno shock.

Nel Cura Italia non c’è sentore di investimenti, quando l’unica voce di spesa che ci servirà aumentare subito dopo la fine della quarantena sarebbe proprio questa. Infrastrutture, edilizia scolastica, rete viaria, contrasto al dissesto idrogeologico, posti letto e macchinari negli ospedali, sono tutti capitoli che andrebbero rafforzati nell’ottica di uno stimolo duraturo alla crescita e di un miglioramento della qualità dei servizi pubblici offerti. Invece, ci ritroviamo con le solite mance, meglio di niente in una situazione di crisi, ma sempre di mance si tratta: 100 euro per i dipendenti che stanno continuando a lavorare in sede, 600 euro per le partite IVA e a compensazione (parziale) dei mancati guadagni, così come per i lavoratori stagionali del settore turistico e degli stabilimenti termali.

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Bene, ma non può bastare. All’Italia serve una scossa già da molti anni. Il Coronavirus è arrivato in un momento già di contrazione della nostra economia, accentuandola. Si ha l’impressione che a ogni recessione ne usciamo sempre più deboli e sempre più soggetti a ricadervi peggio degli altri stati.

I conti pubblici saranno tremendamente negativi alla fine dell’anno, quando si tireranno le somme. Deficit e debito alle stelle, ma senza nemmeno la prospettiva di un vero miglioramento, a causa dell’assenza di una ripresa, che sarà molto probabilmente ancora il classico rimbalzo del gatto morto. Nel decreto Cura Italia non c’è traccia di svolta, di coraggio, di quella sterzata necessaria per guardare al dopo-Coronavirus con meno sfiducia verso il futuro. Rimarremo con gli stessi problemi di prima, solo più gravi.

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