Il governo Draghi estenderà il taglio delle accise fino al prossimo 2 agosto. Inizialmente pensata per durare appena un mese e concludersi così alla fine di aprile, la misura è ormai prorogata mese dopo mese per cercare di placare l’inflazione in Italia. A maggio, è salita al 6,8%. Non era stata così alta dal 1986. E dire che l’economia ha beneficiato proprio dell’abbassamento delle accise per 25 centesimi al litro su benzina e diesel, una cifra che sale a 30,5 centesimi includendo l’IVA al 22%.

In questi giorni, invece, il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha spiegato che ridurre le accise sul carburante sarebbe una misura costosa per i conti pubblici nazionali, definendoli “in stato di allerta”.

Pioggia di sussidi contro l’inflazione

Nelle prossime settimane, 30 milioni di italiani riceveranno il bonus da 200 euro come sostegno proprio contro l’alta inflazione di questi mesi. Tuttavia, pur essendo molto antipatico scriverlo, queste misure nate da buone intenzioni rischiano di aggravare il problema. La pioggia di sussidi elargiti a questa e quella categoria sociale è stata la forte concausa della risalita veloce dell’inflazione in tutto l’Occidente. Gran parte della popolazione è stata pagata per non lavorare, così da ridurre la socialità e ridurre i contagi da Covid.

Non appena le restrizioni sono state allentate, la domanda è ripartita alla grande proprio in virtù dei risparmi accumulati nei mesi precedenti e alimentati dai sussidi. L’offerta è rimasta in molti casi al palo, complici le lunghe catene di valore nell’era della globalizzazione produttiva. Poi è arrivata la guerra, che ha in realtà esacerbato un’inflazione già al galoppo dai primi mesi del 2021. Leggere i dati macro per avere idea.

Nessuno vuole la recessione

Adesso, le banche centrali stanno reagendo alzando i tassi d’interesse dopo avere definito per mesi l’inflazione come “transitoria”. Tutte ammettono che il problema sia l’offerta, ma allo stesso tempo che serva colpire la domanda speculativa sui mercati.

Essa sta gonfiando all’inverosimile i prezzi delle materie prime grazie all’abbondante liquidità disponibile dopo anni di stamperie delle banche centrali. Tuttavia, sta mancando una certa coordinazione tra politica monetaria e fiscale. Governatori e governi puntano, infatti, a disinflazionare le economie senza farle entrare in recessione. L’operazione è al limite dell’impossibile. Il calo deciso dell’inflazione, infatti, si avrebbe proprio nel caso in cui l’economia si “raffreddasse” al punto da tagliare la domanda di beni e servizi. Ed ecco che i prezzi andrebbero giù.

Viceversa, il governo Draghi – per restare in Italia – sta perseguendo una politica di sostegno ai redditi, pur tra le note ristrettezze fiscali. Tra sussidi e taglio delle accise, tutto possiamo affermare, tranne che stiamo colpendo la domanda. Lo dimostra il prezzo di benzina e diesel alla pompa, tornato sopra 2 euro al litro. Senza il taglio delle accise, sarebbero già in area 2,40 euro. Accadrebbe che molti automobilisti ridurrebbero i km percorsi, limitandoli allo stretto necessario. E di riflesso la minore domanda spingerebbe le compagnie a calmierare i prezzi. Se, poi, questo fosse il trend in tutti i mercati nazionali, le quotazioni internazionali si abbasserebbero, avviando un vero processo di disinflazione.

Domanda resta alta, prezzi non scendono

Invece, Draghi sta aumentando la liquidità interna a debito, nei fatti riproponendo le cause stesse dell’inflazione. Ancora più lampante il caso delle bollette. Per milioni di famiglie, il loro costo è rimasto inalterato. Giustissimo sul piano sociale, ma profondamente inefficiente su quello economico. Significa tenere alti i consumi, finendo tra l’altro per aggravare la crisi energetica. Nel primo trimestre, risultano essere cresciuti del 3,5%, mentre a maggio Terna segnala +5,5%. Non sarebbe stato possibile senza i sussidi contro il caro bollette.

In definitiva, gli aiuti del governo stanno rendendo un po’ più accettabile l’alta inflazione di questi mesi, ma rischiando di mantenerla intatta per un periodo più prolungato di quanto non avverrebbe in loro assenza.

Non dimentichiamo, infine, che trattasi di tutti sostegni in deficit, cioè che vanno ad alimentare la domanda aggregata interna. Altra cosa se fossero stati varati tagliando alcune voci di spesa o incrementando le entrate. In quel caso, si sarebbe trattato di una redistribuzione di risorse pubbliche, con ogni probabilità senza alterare in misura significativa la domanda complessiva e disinflazionando un po’ l’economia. Ma ciò significherebbe quasi certamente recessione, parola che nessuno tra banche centrali e governi vuol sentire pronunciare.

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