Il quarto trimestre del 2023 si è chiuso con una crescita congiunturale dello 0,2% e annuale dello 0,5%. Nell’intero anno, il PIL dell’Italia è cresciuto dello 0,7%, appena meno dello 0,8% stimato dal governo con la Nota di Aggiornamento al DEF. La revisione al ribasso era attesa dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas. Nell’Eurozona, PIL stagnante rispetto ai tre mesi precedenti e in crescita dello 0,5% nell’intero anno. Insomma, l’economia italiana è andata un po’ meglio della media. Nel confronto con le principali competitor, troviamo che la Germania ha registrato un calo congiunturale dello 0,3% nel quarto trimestre, portando a -0,3% il dato del 2023.

La Francia segna un +0,1% e, dopo avere schivato la recessione, può vantare un +0,9% nell’anno che è passato. Molto bene la Spagna: +0,6% congiunturale e +2,5% nel 2023.

Pandemia spartiacque per l’economia italiana

Secondo l’Ifo, principale centro studi economici tedesco, l’economia della Germania dovrebbe contrarsi anche nel primo trimestre, per cui andrà verosimilmente in recessione. Il PIL dell’Italia se la sta cavando bene, date le premesse. La crescita acquisita per il 2024 risulta dello 0,1%. Significa che la nostra economia crescerebbe di tale entità nel caso in cui le variazioni congiunturali fossero tutte nulle quest’anno.

Il +0,7% arriva dopo il +3,7% messo a segno nel 2022, a sua volta in frenata dal +8,3% del 2021. Sono stati due anni di forte rimbalzo per il PIL dell’Italia dopo il -9% registrato nel 2020 a causa della pandemia. Ebbene, questa segna una sorta di spartiacque per l’economia tricolore. Rispetto al 2019, l’ultimo anno prima del Covid, risulta essere cresciuta del 2,8%, più di Spagna (2,5%), Francia (1,8%) e Germania (+0,8%). Siamo passati da ultimi a primi tra le grandi economie europee.

Tuttavia, ereditiamo il fardello della decrescita pre-Covid. Nel periodo che va dal 2008 (compreso) al 2019, il PIL dell’Italia fu l’unico ad essersi ridotto in termini reali: -3,8%.

Nel frattempo, era cresciuto del 15% in Germania, del 12% in Francia e del 7,5% in Spagna. A causa di questa pesante eredità, le dimensioni della nostra economia rimangono ancora oggi inferiori a quelle del lontano 2007, l’anno che precedette la grande crisi finanziaria mondiale. Per l’esattezza, il PIL dell’Italia risulta dello 0,9% più piccolo di allora, mentre in Germania è salito nel frattempo di quasi il 16%, in Francia di oltre il 14% e in Spagna di più del 10%.

Esportazioni mano santa per la crescita

Difficile che riusciremo a recuperare tale perdita quest’anno, visto che la crescita del PIL dell’Italia è attesa sotto l’1% da tutti gli istituti indipendenti. Dunque, se tutto andasse per il meglio il sorpasso arriverebbe solamente l’anno prossimo, praticamente a distanza di diciotto anni. Un ventennio perduto. E, chiaramente, il gap con le altre principali economie non sarà ugualmente colmato. Dovremmo continuare a crescere a ritmi ben superiori a quelli di Germania, Francia e Spagna per recuperare. Anche se accadesse – e non se ne intravedono i segnali – servirebbero numerosi anni, tra dieci e venti.

A dare una mano alla crescita sono le esportazioni. Dopo l’anno terribile del 2022, durante il quale la bilancia commerciale era andata in passivo per la prima volta dal 2011, il saldo è tornato attivo con la riduzione dei prezzi dell’energia importata. Il Made in Italy risulta indispensabile per compensare il minore contributo che necessariamente arriverà dalla leva fiscale. A fronte degli ingenti disavanzi fiscali degli anni passati, il governo Meloni punta a un quasi pareggio per quest’anno (-0,2% del PIL), al +0,7% nel 2025 e all’1,6% nel 2026. Nel 2021, il deficit dei conti pubblici, al netto della spesa per interessi, era al 5,3% e l’anno prima era arrivato al 6,1%.

PIL Italia frenato da bassi stipendi

Centrale rimarrà per anni la questione salariale. I consumi delle famiglie sono stati i grandi assenti degli ultimi decenni, a causa proprio della stagnazione dei redditi dei lavoratori dipendenti.

L’inflazione non aiuta, colpendo il potere di acquisto e riducendo le disponibilità reali. Serve un’accelerazione del ritmo di crescita della produttività, che andrebbe stimolato attraverso micro- e macro-riforme. La struttura produttiva di dimensioni medie eccessivamente piccole pone spesso un freno agli investimenti e vivacchia grazie alla manodopera a basso costo, che a sua volta è impiegata nella produzione di beni a scarso valore aggiunto o cosiddetti “poveri”, tra l’altro esposti alla concorrenza delle economie emergenti.

Il Pnrr dovrebbe fungere da stimolo alle riforme e da volano per la crescita del PIL dell’Italia nel medio-lungo termine. La sua impostazione, tuttavia, è risultata perlopiù sganciata dai bisogni reali dei territori e dell’economia nel suo complesso. Fiumi di miliardi andranno a finanziare iniziative di scarso impatto sulla crescita e che finiranno per pesare sul fardello già pesante del debito pubblico. Criticità che solo in parte sono state affrontate con la recente riscrittura richiesta alla Commissione europea e ottenuta dal governo. Tra qualche anno tireremo le somme e ci racconteremo della preziosa occasione sprecata, versando lacrime di coccodrillo.

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