I numeri della crisi economica globale provocata dal Coronavirus stanno facendosi sempre più allarmanti. Il prodotto interno lordo del pianeta quest’anno dovrebbe arretrare del 4,9%, ma in Italia il crollo sarebbe del 12,8%, stando al Fondo Monetario Internazionale. A doppia cifra è atteso anche il nostro deficit pubblico e c’è tutta l’impressione che gli analisti si stiano tenendo volutamente bassi per non alimentare timori e preoccupazioni sullo stato di salute di questo o quel paese, più di quanto non ve ne siano già.

L’Italia è caduta in uno stato di depressione profonda, a fianco di Francia e Spagna, per restare tra le grandi economie dell’Eurozona.

Crisi di Conte, autunno caldo e Italia nave senza capitano nel mare in tempesta

Il governo Conte ha bloccato i licenziamenti individuali e collettivi fino al 17 agosto prossimo, se motivati da ragioni economiche. Le imprese non possono ridurre il personale a causa della crisi, per cui il tasso di disoccupazione in questi mesi è paradossalmente diminuito, pur risalendo a maggio. Per questo, per misurare le reali condizioni del nostro mercato del lavoro risulta preferibile visionare il tasso di occupazione, sceso al 57,6% (superava il 59% prima del Covid), con ben 538 mila posti andati perduti durante la pandemia.

Cosa succede dopo il blocco dei licenziamenti

Chiaramente, se le imprese potessero licenziare, molte lo farebbero e il tasso di disoccupazione si porterebbe ben al di sopra del 7,8% ufficiale. A maggio, le ore di cassa integrazione avrebbero riguardato 4,8 milioni di lavoratori, che incidono per oltre un quinto dell’intera forza-lavoro attuale. Questo, per farvi capire l’entità del dramma. Dovremmo sperare che da qui a quando il blocco dei licenziamenti verrà rimosso, le imprese tornino nelle condizioni di mantenere i livelli occupazionali. Ma saremmo ingenui a convincerci di ciò. Né il governo ha adottato uno stralcio di iniziativa che agevoli il rilancio della nostra economia, limitandosi a prevedere bonus a pioggia, dall’impatto limitato e temporaneo per i vari settori coinvolti.

Lavoro sparito con l’emergenza Coronavirus e la disoccupazione crolla, ecco perché

Per questo, lo stesso esecutivo lascia trapelare da settimane l’intenzione di prorogare ulteriormente il blocco dei licenziamenti fino alla fine dell’anno. Sarebbe una misura dalla dubbia legittimità costituzionale, oltre che un modo per calciare il barattolo, caricando sulle imprese l’onere dell’incertezza. Se è pur vero che fino a quando i licenziamenti resteranno impediti, i lavoratori verranno pagati dallo stato tramite la cassa integrazione, d’altra parte il costo di questa operazione ricadrà sulle spalle dei contribuenti in forma di maggiore debito futuro, sempre che le imprese non chiudano e suggellino la perdita ufficiale del lavoro. E tra i contribuenti vi sono le stesse imprese, che per ogni mese di cassa integrazione in più diventano maggiormente consapevoli delle misure che si renderanno necessarie per colmare quel “buco” crescente del bilancio statale.

Ma il blocco non riguarda tutti i lavoratori, bensì quelli assunti con contratto a tempo indeterminato. Non dimentichiamoci, però, che in Italia esistono 3 milioni di lavoratori a termine e 1 milione di “atipici”, cioè lavoratori formalmente non subordinati, ma che nei fatti sono alle dipendenze delle imprese, come i co.co.co e i co.co.pro. E questa parte del mercato del lavoro ne è il ventre molle, quella su cui risulta anche oggi scaricare le conseguenze del cattivo andamento dell’economia. Trattasi di contratti che con ogni probabilità non saranno rinnovati alla scadenza, lavoratori “licenziati”, ma che formalmente non lo saranno, andando ad ingrossare le file degli inoccupati.

Rischio tensioni inter-generazionali

E poiché i contratti a termine sono concentrati perlopiù tra i giovani, queste disparità di trattamento si riveleranno esiziali sul piano anagrafico. Avremo ancora di più una generazione di protetti che si scontrerà con una generazione priva di alcuna tutela.

L’autunno rovente che si annuncia dovrebbe essere alimentato dal surriscaldamento della temperatura proprio tra la seconda, quella in cui da qualche decennio cova un malcontento rabbioso e politicamente destabilizzante. Milioni di under-35 senza prospettive, senza reddito stabile, senza casa e senza tutele, a cui sino ad oggi è stato risposto che dovranno arrangiarsi e dimenticare il benessere conquistato da genitori e nonni.

La deriva venezuelana e il rischio di rabbia sociale incontrollata

Tornando al contribuente, su di esso ricadranno anche oneri impropri, scaricati dal settore privato per approfittare della situazione normativa eccezionale e abbellire i bilanci. Ci riferiamo al rischio che molte imprese usino la cassa integrazione per tagliare artificiosamente il costo del lavoro, magari continuando a tenere in azienda i dipendenti. Una sorta di sfruttamento improprio di un ammortizzatore sociale nato per essere a metà strada tra disoccupazione e lavoro. E in una fase in cui alle imprese vengono imposti numerosi costi per ottemperare alle regole anti-Covid, non possiamo escludere che molti titolari si sentano quasi in diritto di “fregare” lo stato per farsi risarcire indebitamente.

In autunno, questi nodi arriveranno al pettine, tra licenziamenti non più procrastinabili e la lunga lista della spesa che ci presenterà il conto. Nessuno s’immagini che per l’anno prossimo sia possibile una manovra pesantemente in deficit come i due scostamenti di bilancio già votati e il terzo da approvare a luglio in Parlamento. Il sostegno fiscale all’economia continuerà a rendersi necessario, ma attraverso le misure più strettamente connesse ad affrontare l’emergenza economica, dopo quella sanitaria. L’occupazione ne risentirà brutalmente, molti posti di lavoro si perderanno per strada e le tensioni tra occupati e disoccupati, giovani e meno giovani, garantiti e non garantiti si faranno più serie che mai. E manca un piano per sventarle o almeno attutirle quando faranno la loro comparsa.

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