Il 2019 è stato l’anno della rinascita della Grecia. La lunga crisi è finita davvero, anche se i suoi effetti dureranno verosimilmente ancora per molti anni, se è vero che il pil ellenico risulta essersi contratto di circa un quarto rispetto ai livelli del 2007. Ma se i numeri hanno un significato, essi ci raccontano un’evoluzione significativamente positiva dell’economia. Anzitutto, la crescita si è stabilizzata al ritmo medio annuo del 2%, che certamente è poco per un paese che ha fatto una corsa all’indietro nell’ultimo decennio, ma risulta ben superiore a quanto stia riuscendo a fare il resto dell’Eurozona.

E, soprattutto, l’emergenza conti pubblici sembra finita, pur con le cautele del caso.

Quest’anno, Atene dovrebbe chiudere con un avanzo primario di 7 miliardi, qualcosa in più del 3,5% del pil che si è impegnata a centrare con i creditori della Troika (UE, BCE e FMI), in rialzo dai 4,7 miliardi del 2018, quando il governo Tsipras ottenne di poter destinare parte del surplus a voci di spesa, come gli aumenti delle pensioni. E che dire dei rendimenti sovrani? Il decennale offre ormai l’1,40%, quanto il BTp. All’inizio di gennaio, viaggiava al 4,60% contro il 2,70-2,80% dell’Italia.

E la Borsa di Atene sta chiudendo questo brillante 2019 con un rialzo del 50%, ponendosi al top in Europa e portandosi ai massimi da ben 5 anni, pur rimanendo dell’83% sotto i livelli di ottobre del 2007. Il comparto bancario ha trainato il listino principale, segnando un vigoroso +110%, sostenuto dal piano “Ercole” presentato dal governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis, il quale punta ad accelerare l’abbattimento dei crediti in sofferenza tramite l’apposizione della garanzia pubblica sulle cessioni.

L’anno d’oro di Grecia e Italia sui mercati, ma Atene prosegue la corsa nel 2020

Prospettive per l’anno che verrà

E il 2020? Nel primo trimestre, secondo il governo il pil crescerà del 2,8%.

Se il dato fosse confermato, in primavera avrebbe un forte potere negoziale con i partner dell’area per ottenere l’ambito taglio del surplus primario, così da disporre di margini per sostenere la crescita a ritmi più alti. Stando ai rumors, alla fine un accordo lo si troverebbe al 2,5% del pil per il prossimo biennio, liberando risorse per circa 2 miliardi all’anno, da destinare verosimilmente al taglio delle tasse e al potenziamento degli investimenti pubblici. In teoria, tale riduzione nemmeno metterebbe in dubbio l’avanzo di bilancio, per cui la Grecia continuerebbe ad accumulare preziosi miliardi da utilizzare dal 2023, anno in cui scatteranno i pagamenti degli interessi e del capitale relativi ai prestiti elargiti dall’Eurozona.

E un’accelerazione dei tassi di crescita aumenterebbe il gettito fiscale, offrendo per altra via rassicurazioni ancora più forti ai creditori pubblici e agli obbligazionisti. Non a caso, il mercato sta scontando una promozione dei bond al rating “investment grade” entro i prossimi 18 mesi, come da aspettative del governo di Atene, cosa che consentirebbe alla BCE di inserire i titoli ellenici in portafoglio con gli acquisti effettuati sotto il “quantitative easing”. Precondizione per ottenere il via libera al taglio dell’avanzo primario sarà, infatti, che i costi di rifinanziamento sul mercato restino bassi, altrimenti la Grecia non segnalerebbe ancora di essere capace di reggersi sulle proprie gambe.

BTp ultimi in Europa, dietro alla Grecia 

Il mix di notizie e aspettative di cui sopra induce all’ottimismo. E per concludere, si spera che il resto lo facciano proprio le banche, quando torneranno a prestare denaro a imprese e famiglie, una volta liberatesi delle sofferenze. Il classico circolo virtuoso metterebbe alle spalle quello drammaticamente vizioso innescatosi dopo il 2007. E davvero c’è tutta la sensazione che Atene stia lasciando a Roma il testimone come appestato dell’area.

Da noi, la crescita resta un miraggio, la stabilità politica è diventata velleitaria e i conti pubblici non accennano a migliorare.

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