Chissà se la premier Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron, incontrandosi all’Eliseo martedì scorso, abbiano provato a dialogare circa il grosso rischio che Italia e Francia corrono con l’allentamento della disciplina europea sugli aiuti di stato. Poche ore prima a Berlino si festeggiava l’accordo raggiunto dal governo federale con Intel per raddoppiare gli investimenti in Germania da 17 a 30 miliardi di euro. Un beau geste arrivato dopo che la cancelleria ha promesso alla multinazionale americana un maxi-incentivo statale di 9,9 miliardi per la costruzione di due stabilimenti di semiconduttori nella regione del Sachsen-Anhalt.

E’ la “guerra dei chip”, stavolta tutta interna all’Europa.

Il governo tedesco non era inizialmente unito su questo punto. Il ministro delle Finanze, Christian Lindner, aveva osteggiato l’esborso di tanto denaro pubblico. Gli alleati socialdemocratici e Verdi lo hanno convinto non solo ad accettare, ma anche ad alzare gli aiuti di stato dai 6,8 miliardi inizialmente previsti. Nel frattempo, hanno ottenuto da Intel l’aumento degli investimenti, così da fare scendere la quota di partecipazione dello stato dal 40% al 33%. Si è trattato di un’operazione politico-industriale enorme. Non solo perché sarà il più grande investimento diretto estero mai realizzato in Germania, ma anche perché beneficia una delle aree più povere del paese, in cui la disoccupazione è alta, specie tra i giovani, e la destra euro-scettica dell’AfD primeggia nei sondaggi.

Fatto sta che gli aiuti di stato tedeschi rischiano di generare una guerra dei chip ai danni dei partner europei. A rimetterci sarà probabilmente l’Italia. L’anno scorso, Intel aveva sondato l’idea di investire in una delle nostre regioni. Erano state prese in considerazione Piemonte, Veneto, Puglia, Campania e Sicilia. Alla fine, sono rimaste in piedi solo le ipotesi di Veneto e, soprattutto, Piemonte. L’investimento previsto è di 4,5 miliardi. Tuttavia, alla luce di questi maxi-investimenti in Germania, così come in Polonia, resta difficile immaginare che grosse operazioni possano realizzarsi altrove.

Guerra dei chip grazie ai margini di bilancio

Qual è il punto? La Germania dispone di margini di bilancio con cui allettare le industrie straniere e nazionali. Non solo 10 miliardi per il bilancio pubblico tedesco valgono meno dello 0,3% del PIL, ma oltretutto Berlino può permettersi di spendere. Ha un debito pubblico al 65%. L’Italia viaggia sopra il 140%. E’ come pretendere di competere con un corridore mentre si ha una palla di acciaio al piede. Già negli anni passati la Germania ha beneficiato dell’allentamento di Bruxelles sugli aiuti di stato, facendosi autorizzare il 50% totale delle risorse stanziate in tutta l’Unione Europea in barba al mercato. A lunga distanza segue la Francia sotto il 30%. L’Italia non arriva al 5%.

Di questo passo, la Germania si mangerà tutti i partner europei a colpi di debito pubblico. Assurdo che la Francia occupi il suo tempo per polemizzare con l’Italia sul nulla, quando i principali rischi per la sua economia arrivano dall’alleato tedesco. Se Macron non capisce questo, non fa l’interesse dell’economia francese. La guerra dei chip è essenziale per riscrivere il futuro dell’economia mondiale. La Germania sta puntando in silenzio a rimpiazzare la Cina nel processo di reshoring per le catene di valore nel comparto high-tech. Si assicurerebbe un vantaggio competitivo per i prossimi decenni e rimedierebbe alle perdite accusate con il taglio delle relazioni con la Russia sul fronte energetico.

Ha perfettamente ancora più senso per Lindner battere il tasto sull’austerità fiscale. La battaglia per una riforma del Patto di stabilità quanto più blanda possibile si può leggere anche alla luce di questi avvenimenti. Ai tedeschi non conviene per nulla accettare le proposte di paesi come l’Italia per scorporare dai limiti di bilancio gli investimenti, specie nella transizione energetica.

Significherebbe consentire ai paesi “rivali” di ricostituirsi margini di bilancio con cui cercare di competere per attirare capitali stranieri. Non è forse un caso che Macron abbia aggiunto la sua voce a quella di Meloni all’incontro di martedì per chiedere una riscrittura delle regole fiscali tale da non tornare all’era pre-Covid. Dopo gli avvertimenti delle agenzie di rating, Parigi non può permettersi di spandere e spendere in deficit senza rischiare di essere declassata e trasformarsi in un’altra Italia.

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