Il Dipartimento del Tesoro americano ha definito il franco svizzero e il dong vietnamita valute frutto di “manipolazione del cambio”. Funzionari vicini al futuro segretario del Tesoro, Janet Yellen, si sono affrettati a chiarire che l’amministrazione Trump non avrebbe informato il team di Joe Biden di questa iniziativa. In teoria, i paesi accusati di manipolare i tassi di cambio per aumentare le esportazioni verso gli USA rischiano sanzioni nella forma di dazi doganali. Ieri, la Banca Nazionale Svizzera (BNS) ha ignorato le accuse e ha comunicato di avere mantenuto i tassi di riferimento invariati al -0,75%, come da attese.

L’istituto ha sostenuto la necessità di proseguire con una politica monetaria ultra-accomodante per centrare l’obiettivo di difendere la stabilità dei prezzi, definendo il franco svizzero “sopravvalutato”.

Il governatore Thomas Jordan non poteva essere più schietto: “tanto per essere chiari, il report del Tesoro americano non avrà alcun impatto sulla nostra politica monetaria”. Lo stato alpino sberleffa la superpotenza mondiale. E, a dire il vero, ne ha tutti i requisiti per farlo. Quest’anno, la Svizzera è andata in deflazione e la BNS prevede che l’inflazione salirà solamente allo 0,20% nel 2022, attestandosi allo 0,50% nel terzo trimestre del 2023. Il target dell’istituto va da un minimo dello 0% a un massimo del 2%. Da un lato è senz’altro vero che abbia acquistato valute straniere per tenere a freno il franco svizzero, come dimostrano i depositi a vista, saliti di oltre 120 miliardi di franchi quest’anno, a 705 miliardi. Le riserve valutarie sono salite così a 879 miliardi, oltre il 120% del PIL. Ma queste azioni sono servite per limitare i guadagni del cambio, rafforzatosi contro il dollaro di oltre il 9%.

Perché il franco svizzero è nella lista nera di Trump e cosa rischia l’economia alpina?

Franco svizzero già molto forte

Secondo il Big Mac Index, la valuta elvetica risulterebbe sopravvalutata contro il dollaro del 20%, ponendosi in testa alle classifiche internazionali.

Piaccia o meno, la BNS sta cercando semplicemente di non importare deflazione dal resto del mondo, nonché di tutelare le proprie esportazioni dal “super franco”. La Svizzera è considerata un porto sicuro per gli investimenti di tutto il mondo, per cui i capitali tendono ad affluirvi copiosi nelle fasi di tensione e di incertezze. Tant’è che da tempo l’intera curva delle scadenze sovrane elvetiche offre rendimenti negativi: il decennale viaggia al -0,54% e il titolo a 50 anni al -0,45%.

Considerate che quando ancora vigeva Bretton Woods e i tassi di cambio erano fissi contro il dollaro e quest’ultimo ancorava il suo valore all’oro, un dollaro riusciva a comprare 4,25 franchi svizzeri. Era il 1971, l’accordo veniva unilateralmente rotto dagli USA e da allora la valuta elvetica non ha fatto che rafforzarsi. Oggi, un dollaro compra appena 88 centesimi di franco, per cui ha perso l’80% contro quest’ultimo in meno di mezzo secolo.

No, la Svizzera non sta manipolando il suo tasso di cambio, ma sta semplicemente cercando di difendersi dai maldestri tentativi delle grandi banche centrali del pianeta di svalutare i loro cambi per rendersi più competitivi sui mercati internazionali. Semmai, la BNS cercò effettivamente di porre un tetto arbitrario alla forza del franco tra il settembre 2011 e il gennaio 2015, all’epoca del cambio minimo contro l’euro di 1,20. E quella manipolazione non resse per l’impossibilità di tenere a bada l’eccesso di capitali in ingresso sul mercato alpino. Da allora, pur tra frequenti interventi sul forex per limitare i danni, il mercato ha già rafforzato parecchio il franco. Forse, Federal Reserve e BCE ritengono di avere il monopolio delle stamperie.

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