Doveva essere l’anno dell’indebolimento del franco svizzero e il trend dei primi mesi del 2018 lo aveva fatto credere. In aprile, il cambio contro l’euro era salito a 1,20, portandosi ai livelli di inizio 2015, quando la Banca Nazionale Svizzera pose fine al “peg” introdotto 40 mesi prima unilateralmente, arrendendosi alle forze del mercato e aprendo la via a un istantaneo apprezzamento a doppia cifra contro tutte le valute mondiali. Da allora, però, ha guadagnato poco più del 6%, viaggiando oggi in area 1,1250.

Non è casuale che nello stesso periodo di tempo, le riserve valutarie elvetiche siano diminuite di circa 26 miliardi di franchi, attestandosi il mese scorso a poco meno di 731 miliardi. Gli stessi depositi a vista, considerati un indicatore del grado di intervento dell’istituto sui mercati valutari, sono rimasti stabili quest’anno e ad agosto risultavano diminuiti del 2,5% rispetto al mese precedente, il calo più marcato in 6 anni a questa parte. Al momento, si aggirano sui 577 miliardi. Sarebbe il segno che il governatore Thomas Jordan non starebbe da mesi intervenendo per indebolire il cambio, nonostante egli continui a definirlo “altamente sopravvalutato”.

Franco svizzero ai livelli del cambio minimo, c’entra un referendum sulle banche?

Cosa ha fatto cambiare direzione al franco svizzero? Anzitutto, il ritorno all’avversione al rischio dopo le elezioni politiche italiane, che hanno visto la vittoria delle forze euro-scettiche e la formazione successiva di un governo sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle. Sappiamo che Zurigo fu costretta nel settembre 2011 a fissare un cambio minimo di 1,20 contro l’euro per frenare gli ingenti deflussi dei capitali in arrivo proprio dall’Eurozona, all’apice della crisi dello spread. Resta il fatto che la BCE ha annunciato a giugno che porrà fine agli stimoli monetari sin dal prossimo gennaio, azzerando gli acquisti di bond e alzando verosimilmente i tassi dopo l’estate prossima.

In teoria, la lettura sarebbe “bullish” per l’euro e “bearish” per il franco.

Perché torna il super franco

Vero, ma l’economia starebbe prevalendo su ogni altra considerazione. Nel secondo trimestre, il pil della Svizzera è cresciuto del 3,4% su base annua, accelerando dal 2,9% del primo trimestre e ai massimi da 7 anni. Tutto questo, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 2,4%, il livello più basso da un decennio e in calo di un punto secco rispetto a quando la SNB lasciò fluttuare il cambio, rafforzandolo. Per quanto la crescita dei salari rimanga più che dimezzata rispetto al periodo pre-crisi, in meno di un anno e mezzo si è passati da una variazione positiva quasi nulla a un +0,8%. L’inflazione ne sta risentendo, accelerando all’1,2% a luglio e agosto, quando a gennaio si attestava allo 0,7% e salendo ai massimi da 8 anni. Non siamo certo in allerta, ma un’economia in piena occupazione, in forte crescita e con prezzi in ascesa non può certo permettersi di tenere ancora a lungo i tassi sui depositi al -0,75%.

I tassi negativi sono stati introdotti proprio per allentare la pressione rialzista sul franco svizzero. Adesso che persino la BCE inizia ad anticipare la stretta, Jordan non può limitarsi a inveire contro il “super franco”, perché rischia altrimenti di surriscaldare troppo l’economia elvetica. Egli dovrà accettare un cambio un po’ più forte, per quanto non così lontano dai valori attuali. D’altronde, proprio il rafforzamento del franco potrebbe avere tenuto sotto controllo il rialzo dell’inflazione. E al governatore serve guadagnare tempo per non alzare i tassi prima della BCE, rischiando sennò afflussi eccessivi di capitali e un apprezzamento ancora più significativo del cambio. Meglio, quindi, cedere qualcosa oggi per rallentare la tempistica della stretta e farla combaciare con quella dell’Eurozona. Che il mercato confidi probabilmente in un franco relativamente più forte contro l’euro lo segnalerebbero anche i rendimenti dei bond svizzeri: decennali ancora poco sopra lo zero e biennali al -0,72%, rispettivamente sui 135 e 45 punti base in meno degli omologhi Bund.

Al netto di ogni altra considerazione, sarebbe come attendersi un franco del 2,7% più forte da qui a 2 anni e del 4,5% in 10 anni.

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