Se in queste settimane avete notato cartelli in qualche catena di supermercati che avvertono sulla limitazione delle quantità di alcuni prodotti da poter mettere nel carrello, sappiate che il problema sta diventando globale. La crisi alimentare è diventata lo spettro con cui fare i conti in ogni angolo del pianeta. Già i cambiamenti climatici e l’interruzione delle catene di produzione con la pandemia avevano assestato duri colpi ai raccolti. Con la guerra ucraina, la situazione è notevolmente peggiorata.

L’Ucraina produce metà di tutto l’olio di semi di girasole nel mondo, il 10% della farina, un ottavo dell’orzo e quasi un sesto dell’amido di mais.

E il fatto che sul suo territorio si stia combattendo una dura guerra sta lasciando da settimane i campi incolti. Secondo SovEcon, una società di ricerca del Mar Nero, il raccolto di avena quest’anno in Ucraina sarà del 35% più basso dello scorso anno, quello della farina del 19% in meno. E queste previsioni si basano sull’assunto che la guerra finisca a breve. Se così non fosse, i contadini non sarebbero nelle condizioni di sfruttare la stagione primaverile per tornare nei campi. I cali dei raccolti diverrebbero ancora più drammatici.

I prezzi dei prodotti alimentari stanno esplodendo. Secondo l’indice FAO, sono aumentati mediamente del 20,7% su base annua a febbraio. Per gli oli vegetali, il boom è stato del 36,7%; per le carni del 24,8%. E saremmo solo agli inizi. Russia e Bielorussia sono principali produttori di fertilizzanti. Una delle società principali di Minsk è sotto embargo, mentre Mosca sta sospendendo le esportazioni, vuoi come ritorsione alle sanzioni dell’Occidente, vuoi anche per mettere al sicuro i raccolti russi. Tra questi, c’è l’urea, un fertilizzante azotato prodotto con gas naturale e che adesso manca vistosamente in Occidente.

Crisi alimentare, cibo non è più “cheap”

Fatto sta che negli stessi campi americani da qualche mese i fertilizzanti scarseggiano e le associazioni degli agricoltori sono sul piede di guerra, così come in Italia.

Nel frattempo, diversi stati stanno ponendo limitazioni alle esportazioni. L’Egitto impedisce le vendite all’estero di farina, lenticchie e fagioli, l’Indonesia stringe sull’olio di palma. E il prezzo di quest’ultimo è schizzato del 60% su base annua, pur scendendo dai massimi. Stessa cosa per la farina, a +65%. A pagare direttamente pegno sono Nord Africa e Medio Oriente, riforniti da Russia e Ucraina. Paesi come l’Egitto hanno ben in mente le rivolte del 2011 con le famose “Primavere Arabe” scatenate proprio dall’impennata dei prezzi alimentari.

Tuttavia, lo spettro della crisi alimentare riguarda un po’ tutto il pianeta. Le fasce della popolazione con redditi minori rischiano di pagarne le conseguenze. In generale, non c’è più certezza di trovare tutto e subito. Un fenomeno a cui non siamo abituati fortunatamente da generazioni. Con la globalizzazione, poi, tutti i prodotti sono disponibili in ogni mese dell’anno, indipendentemente dall’area del pianeta in cui ci troviamo. La carenza di fertilizzanti come l’urea, salita fino a 1.000 dollari per tonnellata (+150% in un anno), sta costringendo molti agricoltori a rinunciare alle semine. In alternativa, dovranno trasferire i maggiori costi sui raccolti. Per i consumatori un ennesimo salasso, che si aggiunge a quello legato al boom dei costi energetici.

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