Mentre le tensioni tra Russia e Occidente montano, le attenzioni sulla Bielorussia vanno scemando dopo essere state alte nei mesi scorsi tra crisi dei migranti e dirottamento aereo su ordine delle autorità di Minsk. A seguito di questi due episodi molto gravi, USA, Unione Europea, Regno Unito e Canada hanno comminato sanzioni contro il regime di Alexander Lukaschenko. Presto, però, i prezzi dei generi alimentari rischiano di risentirne.

Facciamo un passo indietro. Lo scorso anno, il giovane giornalista Roman Protasevich fu fatto scendere dalla polizia bielorussa da un aereo di linea su cui si trovava a bordo nello spazio aereo nazionale e arrestato insieme alla fidanzata.

Gli agenti erano saliti a bordo con la scusa di un allarme bomba dopo avere costretto il velivolo all’atterraggio. Il regime ha così potuto catturare un oppositore politico. Nei mesi seguenti, Minsk sfruttava la crisi dei migranti al confine con la Polonia per minacciare l’Europa. Comportamenti intollerabili da parte di Lukashenko, al potere sin dal 1994.

In risposta a tali ripetute violazioni dei diritti umani, l’Occidente ha imposto contro la Bielorussia sanzioni anche di natura finanziaria e commerciale. Tra gli altri, sono stati congelati gli asset di OJSC Belaruskali, una società che produce potassio. Nel complesso, il paese dell’Europa Orientale è responsabile di un quinto della produzione mondiale di potassio, un fertilizzante usato in agricoltura. E le associazioni di categoria americane hanno lanciato l’allarme: se le esportazioni bielorusse non saranno ripristinate, i prezzi alimentari rischiano di impennarsi.

Prezzi alimentari su, sanzioni da rivedere?

La minore offerta di potassio sta già spingendo gli agricoltori a fare un po’ meno del fertilizzante, sebbene di questo passo i raccolti siano attesi inferiori agli anni passati. E ciò farebbe salire il costo dei prodotti sulla tavola. Anche se l’uso del potassio rimanesse invariato, il suo più alto costo si scaricherebbe sui prezzi alimentari.

Ed ecco che le lobby degli agricoltori hanno lanciato un appello all’amministrazione Biden per rivedere le sanzioni contro la Bielorussia. Ovviamente, il problema sorge anche in Europa e proprio in un momento in cui l’inflazione è diventato il fenomeno da combattere.

Peraltro, le eventuali sanzioni contro la stessa Russia sulla crisi ucraina avrebbero ulteriori ripercussioni negative sul carovita, aumentando il costo dell’energia, ergo anche del trasporto su gomma e, di conseguenza, sui prezzi alimentari. Forse, si capisce meglio la famosa frase di Milton Friedman, Premio Nobel per l’economia, secondo cui “non c’è mai stata una guerra tra due paesi in cui vi sono McDonald’s”. Tra stati che commerciano tra di loro e che intrattengono relazioni finanziarie, in effetti, è molto complicato arrivare alle armi, perché le ragioni dell’economia prenderebbero il sopravvento su ogni altra considerazione. Una guerra aperta tra Occidente e Russia sarebbe reciprocamente dannosa. Ci perderemmo tutti. A noi europei serve l’energia di Mosca, ai russi i nostri capitali.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz sta già pagando lo scotto di tali ambiguità. Da un lato la Germania intende mostrarsi solidale con gli USA e l’Ucraina e pretende dalla Russia il rispetto dell’integrità territoriale di quest’ultima; dall’altro ha bisogno proprio di tenersi buona la Russia per mitigare l’inflazione, salita ai massimi dalla riunificazione. I consensi per l’SPD sono caduti e stati superati nei sondaggi da quelli per la CDU-CSU all’opposizione. Il gradimento personale stesso di Scholz risulta in crollo verticale. Berlino non può permettersi che i prezzi alimentari e, in generale, il carovita continui a lievitare. E le sanzioni contro la Bielorussia, prima ancora che ne siano comminate di nuove alla Russia, rischiano di far saltare definitivamente i nervi ai consumatori-elettori occidentali.

I tedeschi dovranno scegliere da quale parte stare.

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