Quando un prodotto o un piano ha basi fragili, si dice che duri da Natale a Santo Stefano. Mutatis mutandis, il fallimento di Superlega è arrivato a distanza di 48 ore dall’annuncio di quella che si propinava come la “rivoluzione” del calcio europeo. Ieri sera, la maggioranza dei protagonisti si è ammutinata. Come se durante un colpo di stato, uno ad uno i colonnelli fanno dietrofront e lasciano il generale senza truppe. Tutti i club inglesi hanno detto “goodbye” al progetto di cui erano stati strenui proponenti fino a poche ore prima.

Parliamo di Manchester City, Manchester United, Chelsea, Tottenham, Liverpool e Arsenal. In nottata, anche l’Inter si è defilata.

A dire il vero, si vociferava  già ieri sera che anche Barcellona e Atletico Madrid avessero dubbi e quest’ultimo ha ufficializzato il suo addio nelle scorse ore. Nei fatti, la posizione più granitica sarebbe rimasta quella di Juventus e Real Madrid, mentre anche il Milan si è tirato fuori. Cos’è successo? Subito dopo l’annuncio di domenica, non solo la UEFA insieme alla FIFA hanno dichiarato fuoco e fiamme contro la Superlega, ma la politica ha fatto quadrato forse con un’intensità inattesa. Il governo britannico di Boris Johnson, il presidente francese Emmanuel Macron, il premier italiano Mario Draghi e la Commissione europea si sono schierati tutti a favore del calcio europeo tradizionale, contribuendo a decretare il fallimento di Superlega.

Fallimento di Superlega già all’annuncio

La reazione dei tifosi è stata anch’essa ovunque molto contraria, se non furibonda. Non è piaciuta l’idea che l’accesso alla coppa europea più prestigiosa fosse automatico. Non solo un tradimento di una tradizione sportiva vecchia di 200 anni, ma anche la perdita di quel pathos che accompagna qualsiasi partita dal risultato affatto scontato. Sul piano legale, invece, ieri vi avevamo dato conto di una interpretazione favorevole al progetto, in quanto la UEFA non potrebbe pretendere il monopolio del calcio europeo sulla base dei Trattati.

Ma il fallimento di Superlega probabilmente era già scritto domenica sera. L’annuncio coglieva di sorpresa tutti e veniva dato a seguito di una fuga di notizie da New York. Ora, può essere mai che la più grande rivoluzione del calcio europeo sia comunicata in modo così improvvisato e senza un minimo di preparazione da parte degli stessi protagonisti? La domanda appare più che legittima, se si pensa all’abbandono del progetto da parte di ben 7 club su 12 dopo appena due giorni, in risposta alle dure critiche subite. Per caso, i dirigenti si aspettavano un’accoglienza calorosa di UEFA, club esclusi e opinione pubblica? La certezza è che non siano state coltivate le relazioni giuste con governi e persino i media per arrivare a una soluzione almeno tollerata.

Che ci fosse tanta improvvisazione lo conferma anche il mancato completamento delle 15 caselle disponibili per le postazioni fisse. Con l’ansia di dover dare subito l’annuncio, la Superlega ha in fretta e furia inviato gli inviti a Borussia Dortmund, Bayern Monaco e PSG, sentendosi replicare picche. Voi accettereste l’invito di uno che vi chiami la sera e vi proponga di uscire dalla Champions per far parte di un progetto alternativo splendido, di cui non conoscete nulla? E’ evidente che il fallimento di Superlega fosse nelle cose, ma nessuno si aspettava forse un esito così inglorioso e altrettanto frettoloso.

La caduta di Andrea Agnelli

E qui veniamo al nocciolo della questione. Non c’è dubbio che l’esigenza di rendere il calcio europeo più redditizio rimanga, così come quello delle squadre più vincenti di riuscire a competere un maggior numero di partite di un certo livello. Ma nel giro di 48 ore un’intera classe dirigente sportiva in Europa si è bruciata.

Il gotha del calcio era sceso dalla montagna per suonare ed è stato suonato. Si direbbe che non vi siano più gli uomini (e le donne) di una volta. Una cattiva figura così plateale non sarà dimenticata presto. La stampa internazionale parla di “ridicolo” ed è la verità assoluta. Quello che sta accadendo è senz’altro ridicolo e imbarazzante per nomi del calibro di Andrea Agnelli e Florentino Perez.

Se c’è il volto di uno sconfitto, infatti, questo è quello dell’imprenditore italiano. Se avesse vinto la scommessa, sarebbe entrato nella storia del calcio europeo come un gigante. Ma con il fallimento di Superlega è stato iscritto automaticamente al club della nobiltà calcistica decaduta. In 48 ore, il presidente della Juventus perde la prestigiosa presidenza dell’Associazione Club Europei e il sogno dell’appartenenza stabile a un Olimpo del calcio mondiale. Ma, soprattutto, ha perso la faccia. Dispiace dirlo per la serietà e la statura del personaggio, ma d’ora in avanti il nome di Agnelli per la società bianconera sarà un impaccio più che un valore. E con la Juventus quotata in borsa, persino il nipote dell’Avvocato dovrà prendere atto della realtà e probabilmente compiere il doloroso passo indietro.

Il fallimento di Superlega sbarra la strada ad Agnelli per risolvere le gravi criticità della Juventus sul piano finanziario e sportivo. La mossa sarebbe servita a nascondere la polvere sotto il tappeto, a far dimenticare ai tifosi il mancato raggiungimento degli obiettivi negli ultimi 5-6 anni. Adesso che tutto è perduto, ogni sconfitta farà ancora più male e la frustrazione monterà sulla consapevolezza che la società si sia giocata in poche ore anche gran parte della sua reputazione e credibilità vantate in decenni di gestione oculata e di relazioni ai massimi livelli.

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