Le immagini dell’orrore a Bucha hanno fatto il giro del mondo. Un numero considerevole di civili ucraini risulta essere stato trucidato dalle truppe russe nella cittadina vicina alla capitale Kiev. E mentre i governi europei chiedono che i responsabili di questi crimini di guerra paghino, da Berlino inizia a cadere la resistenza tedesca contro l’embargo su petrolio e gas dalla Russia.

Il ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht, ha aperto alla discussione in tal senso a Bruxelles, dove il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha annunciato già che mercoledì saranno adottate nuove sanzioni contro Mosca.

Sappiamo che l’amministrazione Biden sta studiando dal canto suo “sanzioni secondarie” contro i paesi che continuano a commerciare con la Russia. Un’ipotesi molto forte, dato che sono decine e decine le economie di Asia e Africa, in particolare, che hanno deciso di mantenere rapporti di import-export con la federazione dopo l’invasione dell’Ucraina. Tra queste, poi, vi sono Cina e India.

La stessa amministrazione americana preme da settimane per un embargo totale, ossia che coinvolga anche petrolio e gas. L’Europa si trova dinnanzi a un dilemma etico non di poco conto: continuando ad acquistare forniture dalla Russia, di fatto ne sta finanziando la guerra in Ucraina. Solamente i pagamenti per il gas da parte dell’Europa starebbero facendo introitare ai russi qualcosa come 800 milioni di euro al giorno. Di fatto, le sanzioni sin qui comminate rischiano di rivelarsi blande, come segnala il ritorno del rublo ai tassi di cambio pre-bellici contro dollaro ed euro.

Da Letta e Di Maio, “falchi” a scoppio ritardato e con le tasche degli altri

Il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, su Twitter rompe ogni indugio e invoca l’embargo anche su petrolio e gas per non assistere a nuove Bucha. La posizione del governo è stata, invece, espressa dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, secondo cui l’Italia intende sottrarsi ai “ricatti russi” e nel caso in cui lo stop alle forniture di energia fosse richiesto dall’Unione Europea, l’Italia non opporrebbe il veto.

Come dire, non lo chiediamo, ma non lo osteggiamo. In Parlamento, il leader di Azione, Carlo Calenda, sul tema chiede prudenza.

Letta da settimane gioca a recitare il ruolo del “falco” anti-Putin, probabilmente per accreditarsi come principale interlocutore dell’amministrazione Biden nel panorama politico italiano. Non è lo stesso Letta che firmò alacremente ben 28 accordi commerciali con la Russia nei pochi mesi in cui fu capo del governo tra il 2013 e il 2014. Di certo non è il solito Letta prudente quello che chiede all’Italia di rinunciare subito a petrolio e gas russi senza spiegare quali sarebbero le alternative immediatamente disponibili. Già, perché non esistono. Con il tempo – leggasi anni – l’Italia e il resto d’Europa potranno sottrarsi ai ricatti russi, ma serve una transizione non breve nel corso della quale trovare fornitori concorrenti e puntare su fonti energetiche alternative.

La posizione di Letta è squilibrata, come lo è di chi pretende di azzerare le importazioni di energia da Mosca dopo averle abbracciate per anni, persino dopo l’occupazione della Crimea nel 2014. Il Movimento 5 Stelle, di cui Di Maio è espressione, è stato “no trivelle” fino ad oggi, contrario a qualsiasi sfruttamento dei giacimenti di gas nell’Adriatico. Oggi, il suo ministro più importante piange lacrime di coccodrillo e recita anch’egli il ruolo a soggetto di politico anti-Putin sfegatato.

Senza petrolio e gas russi subito, economia italiana in recessione

Qui, si sta giocando a fare i duri con le tasche degli altri. Confindustria stima oramai una crescita del PIL dell’1,9% per quest’anno. Il governo Draghi l’aveva stimata al 4,7%. Senza petrolio e gas importati dalla Russia, le quotazioni con ogni probabilità schizzeranno ancora più alle stelle: non sarà improbabile un barile a 200 dollari e un mega-wattora di gas sopra 300 euro.

Con questi numeri, neppure le previsioni di Confindustria andrebbero bene. Gran parte delle attività produttive chiuderebbe, i prezzi di beni e servizi esploderebbero ulteriormente e i consumi crollerebbero. L’economia italiana ricadrebbe in recessione.

Basti guardare ai dati della bilancia commerciale per capire cosa stia succedendo: saldo dell’import-export negativo per oltre 5 miliardi di euro a gennaio contro un avanzo di 1,58 miliardi nello stesso mese del 2021. A febbraio, con i paesi extra-UE abbiamo registrato un saldo negativo di 1,55 miliardi contro +4,15 miliardi di un anno prima. Il deficit energetico è cresciuto solo a febbraio di oltre 5 miliardi a 7,18 miliardi. Praticamente, ci stiamo masticando l’unico fattore favorevole alla crescita dell’ultimo decennio: l’export. Di questo passo, risulterà più che azzerato, offrendo per la prima volta dopo tanti anni un contributo negativo e non più positivo al PIL. Poiché con un’inflazione già al 7% è facile prevedere consumi in picchiata e investimenti al palo, per l’economia italiana non ci sarebbe salvezza. Solo chi invoca l’embargo contro petrolio e gas non ha ben chiaro questo concetto. O forse persegue obiettivi che differiscono da quelli del benessere comune.

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