Formalmente, la legislatura in corso finirà solo con l’insediamento delle nuove Camere, ovvero tra circa tre mesi. Tuttavia, sul piano politico è finita. In questi cinque anni, tre esecutivi si sono succeduti: governo Letta (aprile 2013-febbraio 2014); governo Renzi (febbraio 2014-dicembre 2016); governo Gentiloni (dicembre 2016 – ?). L’economia italiana ha ripreso solo da pochi mesi a crescere a ritmi compatibili con quelli di una ripresa vera e propria, per quanto più lenti che nel resto d’Europa. Ma vediamo meglio com’è andata dalle scorse elezioni politiche ad oggi.

L’indicatore certamente più rilevante per capire l’evoluzione di un’economia è il pil. Nel quinquennio 2013-2017, esso è aumentato, in termini reali, di appena l’1%, pari a meno dello 0,2% all’anno. Certo, rispetto al precedente lustro 2018-2012, quando era arretrato del 6,3%, ovvero al ritmo medio dell’1,2% all’anno, sarebbe già in sé un miglioramento, ma nel senso che siamo passati dalla recessione alla stagnazione, nonostante i recenti segnali di miglioramento di cui dicevamo. Lo stesso andamento dell’inflazione ci segnala quanto fragile sia stata la nostra economia negli ultimi anni, se è vero che la crescita cumulata dei prezzi nel periodo si è attestata ad appena il 2,7%, pari a una media annua dello 0,05%. (Leggi anche: Stagnazione secolare, siamo rimasti molto indietro)

Al contrario, il debito pubblico ha continuato a salire vistosamente sia in valore assoluto che in rapporto al pil, passando rispettivamente da 2.034 a 2.290 miliardi (+256 miliardi) e dal 120% al 133%. In media, ogni mese è aumentato di quasi 4 miliardi, pur in rallentamento dai +6,4 miliardi di crescita media mensile nel corso della legislatura precedente. Nonostante ciò, il termine spread sembra essere uscito dal vocabolario della politica, essendo il differenziale di rendimento tra i decennali italiani e quelli tedeschi sceso nel frattempo dai 317 punti base dell’esordio della corrente legislatura ai 156 attuali. In termini assoluti, i rendimenti decennali dei nostri BTp sono crollati dal 4,6% a poco meno del 2%, anche se quasi interamente grazie alle politiche monetarie ultra-espansive attuate dalla BCE, specie dal tardo 2014 con il taglio dei tassi e nei mesi successivi con il varo del “quantitative easing”.

(Leggi anche: Debito pubblico, perché dopo Draghi rischia di esplodere)

La crescita zero ha impedito alla disoccupazione di scendere. In effetti, siamo rimasti pressappoco alle medesime condizioni del mercato del lavoro di inizio legislatura, con il tasso di disoccupazione a scendere solo dall’11,5% all’11,1% e il numero degli occupati ad aumentare dalle 22 milioni 674 mila alle 23 milioni 80 mila unità, segnando +334.000.

Ma non tutto è andato storto. Ad esempio, l’indebolimento del cambio avrebbe sostenuto le nostre esportazioni e il saldo della bilancia commerciale ha toccato il suo massimo storico positivo di 51,6 miliardi nel 2016, pari a oltre il 3% del pil. Quello cumulato dall’inizio della legislatura al mese scorso è stato di quasi 212 miliardi, corrispondenti al 12,5% dell’attuale pil. E anche la borsa si è ripresa, pur restando ancora a livelli dimezzati rispetto a 10 anni fa. Piazza Affari ha guadagnato complessivamente il 37% e le stesse banche, che pure hanno subito uno spaventoso crollo nel corso del 2016, segnano un rialzo medio del 22,5%. (Leggi anche: Super-euro danneggia le esportazioni dell’Italia?)

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