L’Italia è tornata a crescere. Quest’anno, con un pil atteso in aumento dell’1,6% dall’OCSE, la ripresa può dirsi finalmente decollata. Basta questo per farci dire che la crisi sia alle spalle? Purtroppo, ragionando con i numeri, no. I dati della Cgia di Mestre certificano la sensazione diffusa che l’economia italiana sia rimasta molto indietro rispetto alle altre d’Europa e all’anno 2007, ultimo prima della crisi. Prendendo a riferimento il periodo che va dal 2000 al 2017, ovvero pur includendo l’accelerazione di quest’anno, il pil sarebbe cresciuto in termini reali di appena il 2,6%, pari alla media annua dello 0,15%.

Stiamo parlando di quella che a tutti gli effetti potranno definire una “stagnazione secolare”, che mai nell’era moderna si era verificata così a lungo in Italia. Ahi noi, un esempio simile si ha con il Giappone dell’ultimo quarto di secolo e ciò non depone in favore dell’ottimismo, dato che Tokyo cerca con tutte le sue forze da qualche decennio di porre fine a quel mix di stagnazione e deflazione, che ha contribuito a fare esplodere il suo debito pubblico al 240% del pil. (Leggi anche: Fuga italiani all’estero, con crisi persi 2 milioni di connazionali)

Rispetto al 2007, il nostro pil reale resta più basso del 5,4%. Verosimilmente, a questi ritmi ci serviranno altri tre esercizi per raggiungere i livelli di 10 anni or sono, ovvero torneremo a produrre la stessa ricchezza del 2007 solamente nel 2020. Siamo a ben oltre il classico decennio perduto, di fatto avremo bruciato un’intera generazione, quando già sin dal 2000, come abbiamo sopra dimostrato, numeri alla mano, la nostra economia è rimasta praticamente ferma. In altre parole, nel 2020 saranno trascorsi 20 anni al ritmo di crescita medio dello 0,4%. E sempre che tutto vada per il meglio, perché il prosieguo della ripresa non sarebbe nemmeno scontato, date le vicissitudini politiche che ci aspettano dopo le elezioni di marzo e tenendo conto che l’Italia resti in fondo alla classifica della crescita nell’Eurozona, pur beneficiando come tutte le altre economie dell’area di bassi tassi, cambio debole e petrolio ancora relativamente a basso costo, per quanto in risalita.

Stagnazione secolare non per l’euro

Per capire cosa sia accaduto di così dirompente nel nostro Paese, basti pensare che negli ultimi 17 anni, la produzione manifatturiera sia crollata del 19,1%, registrando un andamento del tutto simile a quello della Spagna (-19,2%), peggiore di quello della Francia (-12,7%) e diametralmente opposto alla media dell’Eurozona (+13,7%) e, in particolare, della Germania, che nello stesso periodo segna un eclatante +30,6%. I dati sul pil confermano questa tendenza: +25,9% il pil reale nell’area (Italia, esclusa), +21,7% in Francia, +23,7% in Germania e +31,3% in Spagna. A conti fatti, tra le grandi economie, la nostra appare l’unica a non essere cresciuta e insieme a Portogallo (-1,2%) e Grecia (-25,2%) figura tra quelle ad essere rimasta indietro rispetto al 2007.

Le cifre smentirebbero la vulgata comune, per cui questa nostra stagnazione secolare coinciderebbe con l’ingresso nell’euro. Anzitutto, la stagnazione era iniziata con la fine drammatica della Prima Repubblica, ovvero agli inizi degli anni Novanta, anche se si è fatta più evidente con il nuovo Millennio. Secondariamente, l’euro è entrato nelle tasche dei cittadini di 19 paesi in tutto, ma solamente l’Italia ha subito una simile crisi della sua economia. Persino la Grecia, infatti, è visibilmente cresciuta rispetto al 2000, pur essendo stata devastata da otto anni di recessione nell’ultimo decennio. E contrariamente a quanto si penserebbe, non è la bilancia commerciale ad avere colpito la nostra economia, che attualmente risulta avere migliorato il saldo positivo di fine anni Novanta e registra ampi surplus per il sesto anno consecutivo. (Leggi anche: Italia fuori dall’euro? Ecco cosa come e cosa accadrebbe con il ritorno alla lira)

Crollati gli investimenti

Uno dei problemi riscontrati consiste, invece, nella caduta degli investimenti fissi lordi, che rispetto al 2000 risultavano scesi di quasi il 24% nel 2016.

In pratica, imprese e Pubblica Amministrazione avrebbero sotto-investito, anche se il tracollo coincide con la crisi dell’ultimo decennio, essendo la massa degli investimenti cresciuti del 14% dal 2000 al 2007, ovvero a ritmi quasi doppi rispetto alla contestuale crescita del pil. In altre parole, gli investimenti avrebbero trainato la pur debole crescita economica italiana nei primi anni del Millennio, affossandola negli ultimi 10 anni, quando sono letteralmente precipitati.

C’entra l’euro con tutto questo? No. Di sicuro, ha influito la scarsa capacità della Pubblica Amministrazione di investire risorse a sostegno delle infrastrutture, a loro volta volano di crescita. Tuttavia, l’apice del problema sarebbe l’assenza degli investimenti da parte delle imprese. Queste appaiono sottodimensionate, meno resilienti che altrove ai processi di globalizzazione e alla conseguente concorrenza internazionale, anche se i dati sull’export suggerirebbero forse il contrario, almeno per quella fascia di pmi capaci di innovarsi. L’assenza di riforme economiche significative nel corso degli anni avrebbe fatto il resto: alta burocrazia, elevata pressione fiscale, carenti liberalizzazioni e i ritardi della PA nel pagamento delle fatture avrebbero creato un mix letale per l’economia italiana, che paga pegno più di altre da fin troppo tempo.

La ripresa di quest’anno non deve illuderci, perché se si riveleranno veritiere le stime della BCE, l’Italia sarà cresciuta di due terzi rispetto alla media dell’Eurozona, quando già abbiamo accumulato un gap medio annuo dell’1,3% dal 2000. Le distanze tra noi e i partner dell’unione monetaria non si stanno restringendo, bensì ampliando, anche se per adesso marciamo nella stessa direzione positiva. Riguadagnare il terreno perduto rispetto a economie come Germania e Francia non sarà un’operazione immediata, né semplice. Serviranno anni, riforme e stabilità politica annessa per portarle avanti.

Quello che di fronte a noi sembra non esserci, così come non vi è stato nell’ultimo decennio. (Leggi anche: Crisi italiana? Quella di un capitalismo piagnone)