Giovedì scorso, la BCE ha annunciato che aumenterà i ritmi con cui acquisterà assets nei prossimi mesi all’interno del PEPP, il programma monetario varato in emergenza contro il Covid nel marzo 2020 e che ad oggi ammonta a 1.850 miliardi di euro. A parte il fatto che esso risulti inutilizzato per ancora 1.000 miliardi, nelle ultime settimane gli acquisti di titoli di stato erano diminuiti a una media inferiore ai 12 miliardi netti, 5 in meno di quella dei primi 10 mesi e rotti. Tuttavia, è mancato ogni riferimento all’aumento delle dimensioni del PEPP, che il mercato in un certo senso si aspettava come reazione al boom dei rendimenti sovrani nell’Eurozona di questi ultimissimi mesi.

Probabile che il governatore Christine Lagarde non vi abbia fatto accenno per il semplice fatto che il PEPP sia ancora largamente inutilizzato, per cui da qui ai prossimi 12 mesi, quando il programma dovrebbe scadere, salvo ulteriori proroghe, esso sarebbe sufficiente a centrare gli obiettivi di politica monetaria perseguiti. Questo significa anche, però, che da qui al marzo 2022 non si potranno superare acquisti complessivi settimanali per 20 miliardi. Né, in realtà, Lagarde ha chiarito se tutti i 1.000 miliardi residui verranno effettivamente impiegati o se il programma cesserà di esistere, quando verrà il momento, senza che sarà stato del tutto utilizzato.

Forse, era troppo presto per sbilanciarsi; forse, le cose stanno un po’ meno bene di come pensiamo. La BCE ha alzato le stime d’inflazione per il 2021 dall’1% all’1,5%, avvertendo che entro fine anno si potrebbe centrare il target del 2%. Ma Lagarde ha voluto aggiungere che tale accelerazione sarebbe “temporanea”, conseguenza di quello che gli economisti definiscono “base effects”, vale a dire che l’indice dei prezzi nell’ultima parte di quest’anno si confronterà con quello in calo dello stesso periodo del 2020.

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Le mosse della Bundesbank contro la BCE

Non tutti la pensano, però, come lei.

Il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, nelle scorse settimane ha dichiarato che gli stimoli monetari dovranno cessare quando l’inflazione si sarà riportato intorno al tasso-obiettivo. Di più: il tedesco ha deliberato la mancata distribuzione del dividendo a favore dello stato federale per la prima volta dal 1979. Motivo? Preferisce accantonare risorse per coprire le eventuali perdite che l’istituto subirebbe con il rialzo dei rendimenti dei bond in pancia. Poiché la Bundesbank, così come le altre banche centrali nazionali dell’Eurozona, acquista titoli di stato sin dal 2015 per ottemperare alle misure decise dalla BCE (QE e PEPP), si ritrova in pancia assets che tendenzialmente si deprezzeranno nei prossimi mesi e anni, man mano che i rendimenti saliranno, infliggendo perdite a bilancio.

La mossa di Weidmann sarebbe stata perlopiù tattica, in questa fase: evidenziare agli occhi dell’attenta opinione pubblica tedesca gli effetti negativi dell’eccessivo allentamento monetario nell’area. Come dire ai cittadini: “guardate cosa succede a tenere in pancia troppi titoli di stato. Ora che i rendimenti stanno risalendo, subiamo perdite. E tutto questo per consentire agli stati del Sud Europa di continuare a indebitarsi a costi bassissimi”. Torna, insomma, la solita recriminazione della Germania, secondo cui il costo di queste politiche di “monetizzazione” dei debiti finisce per ricadere sugli stati fiscalmente virtuosi. E nel frattempo professori universitari e finanzieri tedeschi hanno presentato l’ennesimo ricorso alla Corte Costituzionale di Karlsruhe contro i programmi monetari di Francoforte, altro segnale del clima politico che si respira presso la prima economia europea.

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La delicata fase politica in Germania

Già, la politica. Fase molto delicata per Berlino. Domani, si terranno le elezioni regionali nei Laender occidentali della Renania-Palatinato e nel Baden-Wuerrtemberg.

Un test importante per la CDU della cancelliera Angela Merkel, in vista delle elezioni federali di settembre, le prime per i conservatori senza la guida di Mutti. I sondaggi danno il partito in calo e potenzialmente perdente in entrambi i casi. Per il papabile successore della Merkel, il governatore vestfaliano Armin Laschet, il contraccolpo sarebbe pesante, tanto che si vocifera che si scalderebbe il collega bavarese Markus Soeder, a capo della CSU, il partito gemello che non ha mai espresso la cancelleria dal Secondo Dopoguerra.

Soeder ha inclinazioni più conservatrici di Laschet e non è un mistero che il gruppo bavarese sia nettamente ostile alla politica monetaria della BCE. Da qui alle elezioni di settembre, cercherebbe di spostare a destra gli equilibri del partito, rievocando il rischio di mutualizzare e monetizzare i debiti nell’Area Euro, a tutto svantaggio chiaramente dei contribuenti tedeschi. Da qui a settembre, quindi, risulterebbe abbastanza complicato per Lagarde chiedere e, soprattutto, ottenere il potenziamento degli stimoli. L’accelerazione degli acquisti servirà ad adottarlo in maniera informale, nella speranza che dopo settembre sia possibile all’occorrenza aumentare l’entità del PEPP. Sempre che il mercato non segnali carenza di fiducia prima, pretendendo che la BCE agisca quanto prima. Sarebbe un guaio per Lagarde, stretta ancora una volta tra la necessità di salvaguardare l’Eurozona e quella di non indispettire ulteriormente l’azionista di maggioranza di Francoforte.

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